Pensate che ogni minuto in rete vengono spedite 204 milioni di email, effettuate 2 milioni di ricerche su Google, caricate l’equivalente di 48 ore di video su YouTube, creati più di 27mila post su Tumblr e WordPress, inviati oltre 100mila tweet e compiute oltre 2.2 milioni di azioni su Facebook (like, condivisioni, commenti, ecc…). Big data è il termine che viene usato ultimamente per far riferimento a base dati che hanno alcune caratteristiche peculiari, le 3 V:
- Volume: nel senso di ingenti quantitativi di data set non gestibili con i database tradizionali;
- Velocity: dati che affluiscono e necessitano di essere processati a ritmi sostenuti o in tempo reale. La velocità a volte è un fattore critico per garantire la soddisfazione del cliente;
- Variety: elementi di diversa natura e non strutturati come testi, audio, video, flussi di click, segnali provenienti da RFID, cellulari, sensori, transazioni commerciali di vario genere.
Una miniera di informazioni a disposizione delle organizzazioni che saranno in grado di acquisirli, gestirli, interpretarli. Le
aziende potrebbero utilizzarli per analizzare i rischi e le opportunità
di mercato, ma soprattutto per comprendere più a fondo i bisogni dei
clienti, addirittura prima che questi li esprimano. Wal-Mart ha
acquisito una società specializzata per monitorare i post su Facebook, Twitter, Foursquare e individuare i punti vendita da rifornire adeguatamente dei prodotti più citati.
Anche le pubbliche amministrazioni potrebbero trarre vantaggio dalla comprensione dei dati a loro disposizione.
Ad esempio l’agenzia per il lavoro tedesca analizzando i dati storici
sull’impiego e sugli investimenti effettuati, è riuscita a segmentare la
popolazione dei disoccupati per offrire interventi mirati ed
efficienti. Ciò si è tradotto in un risparmio di 10 miliardi di euro
all’anno e nella riduzione del tempo impiegato per ottenere un lavoro.
Ma per ottenere questi vantaggi c’è bisogno di tecnologie sofisticate e un cambiamento culturale non indifferente.
Infatti tutti questi bit sono inutili senza un investimento in risorse
umane competenti che sappiano come trasformarli in informazioni utili.
Il lavoro del data scientist è uno di quelli che nei prossimi
anni sarà sempre più richiesto. Secondo McKinsey, nei soli Stati Uniti
per poter sfruttare efficacemente le potenzialità dei big data occorrerebbero un milione e mezzo di analisti e data manager. Se
le grandi organizzazioni imparano ad unire i punti delle nostre
esistenze per i propri fini commerciali quali problemi potrebbero
sorgere? Chi ci dice che non cedano alla tentazione di mettere in atto
analisi predittive arbitrarie e discriminatorie per alcune categorie
sociali?
Nella società dei dati dove la conoscenza asimmetrica, tra aziende e individui, può acuire enormemente il divario sociale, la gestione dei big data
dovrebbe essere affrontata come una questione che coinvolge i diritti
civili di tutti. C’è bisogno di stabilire, per tempo, nuove regole in
termini di privacy, controllo e conservazione dei dati,
trasparenza delle analisi, sicurezza. Alcune riflessioni e proposte in
tal senso le trovate nel mio ultimo ebook che si intitola proprio “La società dei dati“.
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