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lunedì 20 marzo 2017

Family Link: la app di Google per gli under 13 e i loro genitori

Google sta aprendo i suoi servizi online ai bambini al di sotto dei 13 anni, grazie a un nuovo strumento chiamato Family Link: un’applicazione che consente ai genitori di gestire i contenuti presenti nei dispositivi dei propri figli.
Si tratta di uno dei primi tentativi da parte di una grande azienda di affrontare direttamente la realtà dei bambini che utilizzano la tecnologia.
Family Link permette ai bambini di utilizzare i veri servizi di Google – come Gmail, Maps, Chrome e altri – e non le versioni riadattate per bambini. Tuttavia, gli account destinati ai bambini saranno direttamente legati a quelli dei genitori, attraverso una serie di controlli granulari i genitori potranno inoltre stabilire ciò che i bambini possano o non possano fare.
Google ha lanciato la versione beta e limitata di Family Link il 15 marzo. L’azienda punta a testare il gradimento e i feedback prima di lanciare la app su scala più ampia già entro la fine dell’anno.
L’apertura dei servizi per i bambini al di sotto dei 13 anni si rifà all’Online Privacy Protection Act, una legge statunitense vecchia quasi di due decenni, nella quale non si vieta ai bambini al di sotto dei 13 anni di usare Internet, ma se ne limitano i servizi e alle società si inibisce la possibilità di raccogliere i dati dagli under 12. Inoltre si ribadisce l’imprescindibilità del consenso dei genitori prima che un bambino condivida informazioni personali, come il loro sesso, la loro posizione o immagini di sé stessi.
C’è sempre la preoccupazione che i bambini possano incappare in qualche vicolo buio di Internet”, dice Amar Gandhi, direttore della gestione del prodotto di Google, ma anche uno dei creatori di Family Link. E prosegue “Noi di Google pensiamo di sapere come risolvere questo problema perché numerosi membri del nostro team sono loro stessi genitori. Non pensiamo che la tecnologia possa in alcun modo sostituirsi alla genitorialità, ma può di certo essere d’aiuto”.
Family Link risponde alle preoccupazioni dei genitori in riferimento agli accessi alla rete dei minori grazie al parental control. Google si trova in un potenziale campo minato con questa iniziativa. Internet può essere un luogo di confusione e pericolo per i bambini e il successo di Family Link dipenderà dalla comprensione dei dettagli tecnici da parte dei genitori, ambito nel quale i genitori non sanno esattamente come destreggiarsi.
La mossa di Google – seppur rischiosa – affronta un problema reale: i bambini accedono a Internet in età sempre più precoce. Una ricerca mostra l’età media per possedere un cellulare tra i bambini sono 10,3 anni e che il 39 % di questi usi i social media. Per i tablet i numeri sono ancora più eclatanti: nel 2016 l’84% dei bambini tra i 6 e i 12 anni usa questi dispositivi su base settimanale.
Spesso i genitori permettono ai figli di prendere in prestito i propri smartphone o tablet e questi dispositivi non hanno un accesso filtrato a Internet. Ci sono applicazioni di terze parti e servizi che possono limitare i dispositivi specifici di accesso, ma spesso si tratta di strumenti che i genitori non sanno utilizzare accuratamente.
Google ha cercato di affrontare questo problema precedendo partner e competitor. Già con Android 4.3 Jelly Bean ha introdotto i profili con limitazioni, lasciando che i bambini utilizzassero i dispositivi con accessi specifici e limitati, ma a queste restrizioni mancavano i controlli granulari, cosa che invece Family Link può vantare.
Family Link infatti punta a risolvere la questione. Anziché limitare gli strumenti dei genitori, vengono limitati gli accessi di un dispositivo specifico, dotando i bambini di un proprio account con tanto di indirizzo Gmail, gestito dai genitori stessi. In questo modo, l’esperienza del bambino viene gestita sulla base della concessione o revoca di autorizzazioni da parte degli adulti.
I genitori gestiranno Family Link tramite una app scaricabile da Google Play. Una app simile sarà installata sul dispositivo del bambino e una volta che il genitore avrà impostato il programma su entrambi i dispositivi, questi saranno collegati tra loro. Per ora entrambi i telefoni devono essere Android, ma Google ha anticipato di essere al lavoro anche per una versione iOS.
I genitori possono così consentire o bloccare l’accesso a qualsiasi applicazione sul dispositivo di un bambino. Poi, una volta che queste applicazioni saranno state approvate, il genitore potrà controllare di tanto in tanto, a seconda delle necessità, le autorizzazioni e i blocchi.
I genitori possono anche impostare un limite di tempo da trascorrere davanti allo schermo, con limiti differenti per ogni giorno della settimana. Si possono impostare momenti di blackout, così i bambini non saranno in grado di accedere ai propri dispositivi durante i pasti o dopo un certo orario di notte, ad esempio.
Ogni volta che un bambino vorrà scaricare un’applicazione o visitare un sito con restrizioni, Family Link invierà al genitore una notifica che loro potranno approvare o rifiutare. I genitori potranno anche fruire della visualizzazione di analisi dettagliate dei contenuti utilizzati dai figli e per quanto tempo lo facciano.
La maggior parte dei servizi di Google sono tutti disponibili per i bambini, con una sola eccezione: YouTube. Potranno però accedere a YouTube Kids che ha di default dei propri controlli e restrizioni.
I più critici vedranno Family Link come un’espediente da parte di Google per coltivare nuovi clienti agganciandoli ai loro servizi sempre più precocemente rispetto ai tempi naturali, ma non si può dimenticare che i ragazzi navigano in Internet e utilizzano sia smartphone che tablet da molto tempo prima che Google creasse dei nuovi strumenti per affrontare questa realtà. E a Google si deve il merito di essere stata la prima società ad affrontare il problema a testa alta, offrendo ai genitori un livello di controllo su misura.
Se Google riuscirà a far sì che i bambini trascorrano del tempo online in modo sicuro, questa iniziativa potrebbe dilagare tra gli altri giganti della tecnologia come Facebook, Apple, Microsoft e tutti gli altri colossi potrebbero muoversi nella stessa direzione.

martedì 7 marzo 2017

Google a scuola: cerchi un faraone e compare una pornostar

Nei giorni scorsi accade che, in una scuola primaria del savonese, inavvertitamente un docente si colleghi dall'aula informatica insieme ai bambini per ricercare informazioni online relative al faraone Ramses e un bambino non si limiti a ciò che appare ai primi posti del motore di ricerca numero uno al mondo, ma scorrendo la pagina arrivi alla home page di una pornostar che da tempo pare abbia deciso di utilizzare questo nome come pseudonimo. Non che un faraone non destesse la loro curiosità ma i bambini ma molti di loro hanno deciso di proseguire l'esplorazione del Ramses sbagliato. Di ritorno a casa raccontano il fatto avvenuto ai genitori e da li esplode un caso rimproverando alla scuola di non aver preso le dovute contromisure (software protezione minori) a dovere per evitare che ciò accadesse. D'altro canto la dirigente scolastica si difende sostenendo di avere investito in soluzioni di protezione basate sul filtro dei contenuti oltreché degli URL e che nessuno poteva immaginare la presenza di una pornostar con quel nome che non era presente nei nomi inseriti in "blacklist".  La maestra dal canto suo, pare non si fosse accorta di nulla. 

Correva il 2008 quando, svolgendo attività formativa per conto di Microsoft nelle scuole (progetto La Scuola Ricomincia Navigando e poi Web in Cattedra) riportavo ai docenti l'esempio del caso "Julie Amero, vedi articolo dell'epoca su Punto Informatico. Un insegnante supplente in una scuola americana, dopo aver lasciato sguarnito il computer in classe con i suoi ragazzi, non ha potuto impedire che gli stessi vedessero le immagini pornografiche innescati da uno spyware in quanto i software non erano aggiornate né era presente una soluzione di antivirus efficace. La stessa poi dopo 3 anni è stata assolta ma ha dovuto difendersi rischiando il danno reputazionale oltreché la galera (40 anni di carcere, parliamo degli Stati Uniti).

Una matrice comune ai due casi è l'importanza da parte di ogni scuola primaria (e non solo...) l'importanza da un lato di fare tutto il possibile affinché i bambini non possano accedere a contenuti inadatti, inopportuni soprattutto in questa fascia di età. L'unico sistema realmente efficace resta sempre quello della "BIBLIOTECA DI CASA" (walled garden) che significa navigare solo ed esclusivamente sui siti scelti secondo un criterio prestabilito adatto all'età dei giovani navigatori. Per quel che riguarda la ricerca online probabilmente quanto accaduto alla scuola di Savona era evitabile impostando un motore di ricerca gestito con gli strumenti messi a disposizione di Google, http://www.ricerchemaestre.it/" all'interno del quale viene svolto un gran lavoro di scrematura da parte di docenti tecnologici preparati.

A parte questo fondamentale l'installazione di software antivirus centralizzato, software protezione minori, aggiornamenti di sistema e di tutto il software installato, formazione del personale docente su tematiche quali sicurezza e privacy, regolamenti/policy appositamente predisposte e aggiornati, unitamente a informative e liberatorie per i genitori.

Queste tematiche vengono da me affrontate durante gli incontri svolti in questo periodo per conto di G Data Italia nell'ambito del progetto "Cyberbullismo 0 in condotta" dove incontro genitori e ragazzi degli istituti comprensivi del Nord Italia.

Sulla mia pagina web il calendario dei miei prossimi incontri formativi su ragazzi, docenti e genitori.


martedì 1 novembre 2016

Adesso Google può associare i nostri dati personali alle nostre attività sul web

nuovologogoogle Il tema della riservatezza dei dati personali, alla luce dell'uso oramai frenetico di internet e del cloud, da una parte diviene sempre più importante per le aziende che si occupano di servizi web, alla ricerca di quante più informazioni possibili per offrire pubblicità e/o servizi maggiormente mirati, dall'altra lo è per gli utenti, "vittime" a volte inconsapevoli, indotte ad accettare sconosciute condizioni per l'utilizzo dei servizi con un semplice click su di un pulsante. A tal proposito si trovano distinzioni tra le società che hanno fatto della riservatezza degli utenti un cavallo di battaglia nella politica aziendale, leggasi Apple, e altre come Google che nonostante pubblicizzino il sostegno massimo alla privacy dei dati personali degli utilizzatori non in poche occasioni hanno dimostrato la ricorsa verso direzioni differenti.

Nel 2007 Google ha acquisito DoubleClick, società che raccoglieva dati di navigazione web, assicurando che mai avrebbe incrociato tali risultati con le informazioni personali possedute grazie all'utilizzo dei propri servizi. Tuttavia, a distanza di quasi 10 anni ha aggiornato le proprie condizioni per l'uso dell'account Google, informando che adesso avrà la possibilità di effettuare tale incrocio. Nel documento si legge adesso: "A seconda delle impostazioni dell'account utente, la sua attività su altri siti e app potrebbe essere associata alle relative informazioni personali allo scopo di migliorare i servizi Google e gli annunci pubblicati da Google". La modifica alle impostazioni deve essere approvata, ed infatti Google richiede specificatamente, una volta effettuato l'accesso al proprio account via browser web, di accettare tali nuove condizioni. L'utente ha la possibilità di mantenere le impostazioni attuali e continuare ad utilizzare i servizi Google allo stesso modo, mentre per i nuovi account invece le nuove opzioni sono abilitate di default. Coi nuovi termini, se accettati, Google potrà unire i dati di navigazione acquisiti tramite i servizi di analisi o tracking alle informazioni già ottenute dal profilo utente. Tutto ciò permetterà alla casa di Mountain View di comporre un ritratto completo dei propri utenti composto dai dati personali, da ciò che viene scritto nelle email, dai siti web visitati e dalle ricerche effettuate, facendo cadere definitivamente il principio di anonimato del tracciamento web. Un portavoce di Google ha risposto alla richiesta di chiarimenti in merito da parte di ProPublica (Via Bicycle Mind), affermando che la modifica alle condizioni è stata effettuata per permettere un aggiornamento rispetto al modo di utilizzo dei servizi della società, basato sull'uso di molti dispositivi diversi. Pur adducendo una spiegazione così vaga e poco convincente, Google ci tiene a sottolineare che la modifica è al 100% facoltativa. Se già avete accettato le nuove condizioni, potrete revocarle in qualsiasi momento recandovi nella sezione delle impostazioni dell'account e disabilitando nella sezione controllo privacy "Attività web e app"; in questo modo Big G non salverà più le attività legate alla ricerca sulle app e nei browser. Nella stessa sezione avremo inoltre la possibilità di cancellare le attività già registrate. Più in generale, il consiglio è di leggere attentamente le condizioni ogni qual volta ci si iscrive ad un nuovo servizio o nel caso di modifica delle stesse. Come detto in premessa, purtroppo troppe volte le aziende, anche a livello visivo, rendono molto semplice cliccare su "accetto" lasciando l'utente inconsapevole della quantità di dati cui il servizio potrà poi disporre. Bisogna invece fare uno sforzo e investire un po' di tempo per leggere le condizioni di un prodotto, in modo da evitare il consenso preventivo ad abusi ai nostri diritti.

martedì 11 ottobre 2016

Google in breve

Google Inc. è un'azienda statunitense che offre servizi online, con quartier generale a Mountain View in California, nel cosiddettoGoogleplex. Tra la grande quantità di prodotti offerti troviamo il motore di ricerca Google, il sistema operativo Android e servizi webquali YouTubeGmailGoogle Maps e altri.
È una delle più importanti aziende informatiche statunitensi, nonché una delle più grandi aziende a livello globale concapitalizzazione azionaria superiore ai 500 miliardi di dollari. Possiede oltre 100 uffici in 54 paesi e dà lavoro a più di 50.000 persone.

Al momento è gestita con capitali privati dove i maggiori detentori di quote sono Kleiner Perkins Caufield & Byers and Sequoia Capital. A seguito di una ristrutturazione interna, dal 5 ottobre 2015 Google inc. è una controllata della holding Alphabet, con a capo Larry Page.
Larry Page e Sergey Brin, studenti dell'Università di Stanford, dopo aver sviluppato la teoria secondo cui un motore di ricerca basato sullo sfruttamento delle relazioni esistenti tra siti web avrebbe prodotto risultati migliori rispetto alle tecniche empiriche usate precedentemente, fondarono l'azienda il 27 settembre 1998. Convinti che le pagine citate con un maggior numero di link fossero le più importanti e meritevoli, decisero di approfondire la loro teoria all'interno dei loro studi e posero le basi per il loro motore di ricerca

Progetti speciali

Google X Lab

Noto anche come Google X, è una struttura segreta gestita da Google Inc., con sede a circa un chilometro di distanza dal Googleplex. Il lavoro in laboratorio è supervisionato da Sergey Brin, uno dei cofondatori di Google. Si occupa di progetti futuristici quali la robotica, (con l'acquisto della Boston Dynamic e altre società specializzate in questo settore), la realtà aumentata con i Google Glass, droni per le consegne a domicilio (Project Wing), lenti a contatto tecnologiche, e auto con pilota automatico. Secondo alcune fonti inoltre starebbe elaborando progetti quali Hoverboard, un ascensore spaziale lunare e altri, molti dei quali accantonati per poi essere ripresi in futuro, a causa dei limiti della tecnologia contemporanea.

Progetti per portare connettività ovunque

Project Loon è un progetto in fase di sviluppo, con la missione di offrire connettività internet attraverso l'uso di palloni ad alta quota. Inoltre, grazie all'acquisto della Titan Aerospace Google ha a disposizione i suoi droni router per poterli accoppiare a Project Loon, e con la successiva acquisizione della Skybox Imaging, Google prevede di sfruttare i suoi satelliti (oltre che per migliorare Google Maps) come dei "ponti radio" in grado di amplificare la diffusione del segnale wireless in modo da portare la connettività internet anche in zone difficili da raggiungere con i mezzi comuni o colpite da calamità naturali. Il primo paese in cui Project Loon è debuttato è lo Sri Lanka.

Google 2.0

Progetto per costruire città e aeroporti per rimediare all'inefficienza delle strutture attuali. Pare infatti che sia stato inaugurato un nuovo dipartimento di ricerca e sviluppo, chiamato Google Y, focalizzato su progetti a lungo termine, ancor più di quanto non avvenga già tra le mura del Google X Lab.

Calico

Calico è una società di ricerca e sviluppo biotecnologico, fondata nel 2013 da Google, il cui obiettivo è quello di affrontare il processo di invecchiamento. Più in particolare, il piano di Calico è quello di utilizzare la tecnologia avanzata per aumentare la comprensione della biologia che controlla la durata della vita, e di utilizzare tale conoscenza per aumentarne la longevità.
Nel mese di settembre 2014 è stato annunciato che Calico, in collaborazione con AbbVie, avrebbe aperto una struttura di ricerca e sviluppo focalizzata sull'invecchiamento e sulle malattie legate all'età, quali la neurodegenerazione e il cancro.

Servizi offerti


Google Search
, motore di ricerca per Internet fondato il 15 settembre 1997. È il sito più visitato del mondo, ed una sua particolarità è che in determinate date il caratteristico logo cambia, per celebrare l'avvenimento avvenuto quel determinato giorno. Il logo in questo caso viene chiamato doodle, e talvolta può essere anche animato o interattivo.Tra i principali servizi offerti da Google vi sono:
  • Android, sistema operativo per cellulari e Tablet, con interfaccia specializzata anche per TV, Auto, e dispositivi indossabili.
  • Youtube, servizio che consente la condivisione e visualizzazione in rete di video (video sharing).
  • Play Store, negozio virtuale di applicazioni, giochi, brani musicali, pellicole cinematografiche, dispositivi, libri e riviste online per Android.
  • Google+, social network ad accesso gratuito basato su Google Account.
  • Google Spaces, social network impostato sui gruppi e basato su Google Account.
  • Chrome OS, sistema operativo progettato da Google, basato sul kernel linux e destinato al mercato dei netbook.
  • Google Now, software di assistenza personale intelligente.
  • Google Drive, servizio di Cloud comprendente suite di produttività che mette gratuitamente a disposizione degli utenti documenti elettronici, fogli di calcolo e presentazioni online, compatibili con tutti i dispositivi.
  • Google Chrome, browser web.
  • Gmail, servizio di posta elettronica di Google.
  • Google Traduttore, servizio di traduzione linguistica.
  • Google Maps, servizio di indicazioni stradali, mappe e satellite.
  • Google Earth, software che genera immagini virtuali della Terra utilizzando immagini satellitari.
  • Google Street View, servizio che fornisce viste panoramiche a 360° gradi in orizzontale e a 290º in verticale lungo le strade e permette agli utenti di vedere parti di varie città del mondo a livello del terreno.
  • Google Hangouts, software di messaggistica istantanea.
  • Google Allo e Google Duo, software di messaggistica istantanea a e videochiamate.
  • Google Voice, un servizio di VOIP.
  • Google Reader, aggregatore di notizie, servizio terminato.
  • AdWords, servizio che Google offre agli inserzionisti per inserire il proprio sito all'interno dei risultati di ricerca, nella tabella "collegamenti sponsorizzati". Il servizio non è gratuito, ha un costo per click, stabilito in precedenza dall'inserzionista.
  • AdSense, servizio che permette agli affiliati di guadagnare inserendo della pubblicità nel proprio sito.
  • TalkBack, servizio di accessibilità che consente agli utenti non vedenti o con problemi di vista di interagire con i loro dispositivi.
  • Picasa, applicazione per computer per organizzare e modificare fotografie digitali.
  • Google Fit, piattaforma per il rilevamento di attività fisiche.
  • Google Wallet, servizio di Google per semplificare i pagamenti, utilizzando uno smartphone al posto delle carte di credito.
  • Google Cloud Print, servizio che consente di stampare da qualsiasi dispositivo Android su qualsiasi stampante.
  • Google Meteo, servizio meteorologico.
  • PageRank, sistema che da un voto su una scala da 0 a 10 a una pagina web in base al suo grado di pertinenza e ai suoi contenuti.
  • Blogger, una piattaforma per creare e gestire blog.
  • Google image search, motore di ricerca di immagini.
  • Google News, servizio online che indicizza le notizie delle principali fonti giornalistiche disponibili sul web.
  • Google Keep, strumento per prendere annotazioni.
  • Servizi di domotica, con l'acquisizione dei Nest Labs, e di Dropcam.
  • Google Fiber, un progetto per la costruzione sperimentale di una rete internet a banda larga con una infrastruttura in fibra ottica.
  • Google Analytics, servizio di conteggio visite e gestione delle statistiche dei siti web.
  • Google Apps, piattaforma di cloud computing basata sui servizi Google e rivolta alle aziende.
  • Google Libri, ricerca bibliografica avanzata.
  • Google product search, strumento che permette di confrontare i vari siti web di shopping online.
  • Google Calendar, sistema di calendari.
  • Google Sites, servizio gratuito di creazione di domini di secondo livello.
  • ReCaptcha, servizio di anti-spam CAPTCHA.
  • Google Scholar, motore di ricerca accademico.
  • Google Trends, esplora i più recenti argomenti di tendenza, dati e visualizzazioni sul motore di ricerca di Google

martedì 19 gennaio 2016

Ecco il piano di Google per eliminare la password


Ecco il piano di Google per eliminare la password

Project Abacus
è l'ambizioso progetto di Mountain View per eliminare definitivamente la password, sostituendola con l'autenticazione via smartphone attraverso la lettura di parametri biometrici dell'utente.


Tra i grandi progetti di Google per il 2016 c'è anche Project Abacus. Si tratta dell'ambizioso progetto di Mountain View per eliminare definitivamente la password, sostituendola con l'autenticazione via smartphone attraverso la lettura di parametri biometrici dell'utente. Abacus vorrebbe bloccare o sbloccare i dispositivi e le applicazioni basandosi su quello che gli apparecchi sanno sul proprio utente, ovvero attraverso un trust score. Il telefono infatti monitora continuamente e riconosce i luoghi che frequentiamo, la nostra voce, la parlata, il modo in cui camminiamo e il nostro volto (tra le altre cose).
Durante la conferenza I/O di Google, Regina Dugan ha affermato che con il suo metodo trust score, Project Abacus, "può rivelarsi dieci volte più sicuro di un semplice sensore di impronte digitali". E non è difficile credere che sia vero. Per tenere lontani i pirati informatici e i cybercriminali, la password è una soluzione gestibile che può variare da debole a forte. I normali sistemi di password sono considerati i più deboli, specialmente quelli che richiedono una password breve e semplice.
L'autenticazione a due fattori è l'ultima moda, dove ad ogni tentativo di accesso l'utente si vede recapitare sul telefono un SMS con un codice di sicurezza aggiuntivo, da inserire sul primo dispositivo per completare la procedura di accesso. E poi abbiamo le impronte digitali, che sono molto sicure e onerose da imitare, anche se un'impronta digitale può essere ottenuta con la forza. Ma, a differenza di tutti questi metodi. Tutti i dati e il monitoraggio costante necessario per Abacus sta già avvenendo attraverso lo smartphone.
Per permettere ad Abacus di utilizzare le nostre informazioni come un sistema di sicurezza, basterebbe mettere tutti i parametri insieme. Tuttavia, è richiesta anche la costante sorveglianza invasiva e l'accesso ad alcuni documenti piuttosto intimi. Una grande idea, un po' spaventosa nella vita reale, ma ormai i giganti della tecnologia sanno tutto di noi.

giovedì 5 marzo 2015

6 link per conoscere quello che Google sa di voi

Una serie di indirizzi per verificare che profilo di mercato abbiamo per Big G e che informazioni detiene sulle nostre ricerche, o sui nostri spostamenti
Non c’è sempre bisogno di star lì a chiedersi cosa sappiano sul nostro conto i grandi della Rete, senza poter verificare. Ecco una breve guida di link, approntata da Cloud Fender, per sapere quali informazioni Google abbia su di noi. E agire di conseguenza.
1. Cosa Google pensa di te. Per sapere in che profilo “di mercato” siate finiti in base ai dati raccolti da The Big G, potete consultare questo link. C’è da ricordarsi poi che, qualora non voleste che venissero raccolti i dati di cui si nutre Google Analytics e i relativi investitori, potete fare la vostra scelta qui.
2. I tuoi spostamenti. Se usate un cellulare Android, è plausibile che questo abbia inviato a Google info sulla vostra posizione. La vostra “storia”, la trovate qui.
3. La storia delle vostre ricerche. Cosa avete googlato? Su che banner pubblicitario avete cliccato? Le risposte qui.
4. Farsi mandare il report sicurezza e privacy mensile. Se interessa un servizio di report mensile sui propri servizi Google in termini di sicurezza e privacy, ecco dove dovete andare.
 5. Chi altro ha accesso ai vostri dati. Applicazioni o estensioni che hanno accesso ai vostri dati? Per scoprire a chi avete dato l’autorizzazione per fruirne, cliccare qui.
6. Backup dati. Chi volesse esportare i propri dati di Google, potrebbe procedere attraverso questo link.
Un link in più: gradite conoscere la storia delle vostre ricerche YouTube? Eccovi serviti

giovedì 5 dicembre 2013

Facebook, Twitter, Gmail e Yahoo: gli hacker rubano 2 milioni di password

Password su Facebook (foto simbolo)  Nuovo maxi-furto da parte dei pirati informatici ai danni degli internauti di tutto il mondo. Danimarca, Usa, Germania e Paesi asiatici i più colpiti. Scorrendo i dati emerge che in molti utilizzano per accedere agli account la semplicissima sequenza "123456".

Dal 21 ottobre scorso ad oggi sono state rubate nel mondo ben due milioni di password da Facebook, Twitter, Gmail, Yahoo, LinkedIn ma anche Adp, una società che gestisce pure sistemi di buste paga online. La scoperta è dei ricercatori degli SpiderLabs di Trustwave. Gli esperti sospettano che i dati siano stati rubati da computer infettati dal "keylogger", un virus in grado di leggere quello che l'utente digita sulla tastiera e inviarlo poi a malintenzionati. Trustwave è finita sulle tracce di questi hacker mentre - riporta l'edizione online di Bbc - investigava su una 'botnet', cioè una rete di pc infetti che di fatto sono controllati in remoto da cyber-criminali. Ad essere colpiti sono gli internauti di tutto il mondo ma in particolare quelli di Danimarca, Usa, Germania, Singapore e Thailandia. Uno dei server su cui sono stati immagazzinate queste credenziali rubate è stato scovato in Olanda. Secondo Trustwave la piattaforma più colpita, al momento, sarebbe Facebook (318mila account compromessi), poi Google (70mila account tra Gmail, Google+ e YouTube), Yahoo! (60mila), Twitter (22mila), LinkedIn e Adp (8mila). Le aziende coinvolte in questo problema di sicurezza sarebbero state informate. E sembra che Facebook, LinkedIn, Twitter e Adp abbiano avvisato gli utenti coinvolti con un messaggio, mentre Yahoo! e Google siano state meno sollecite nel prendere provvedimenti. Oltre un anno fa più di sei milioni di password furono rubate da LinkedIn, mentre poche settimane fa quasi 3 milioni di credenziali sono state sottratte agli utenti di Adobe. Ma l'attacco hacker recente più grave è stato quello sferrato alla Sony poco più di due anni fa: furono sottratti dati da circa 100 milioni di account della rete Playstation, uno dei fiori all'occhiello della multinazionale nipponica. Per quanto riguarda quest'ultimo attacco, tra le informazioni diffuse dai ricercatori di Trustwave ci sono anche statistiche legate alla tipologia di password rubate. E sorprende come ancora una delle chiavi d'accesso più diffuse tra gli internauti sia la banale sequenza "123456". E' stata trovata migliaia di volte nel database delle password rubate, insieme alla stessa parola "password".


Fonte: Unione Sarda

lunedì 13 maggio 2013

Google brevetta il Policy Violation Checker, spiare email e documenti


Google ha riferito di aver depositato un brevetto di uno strumento che rileverà frasi potenzialmente problematiche, o parole di corrispondenza elettronica, che a sua volta, aiuteranno le aziende o individui ad evitare cause legali. Come un correttore ortografico che individua le parole errate e offre grafia alternativa dal database esistente, lo strumento, chiamato "Policy Violation Checker", offrirà anche parole o frasi alternative che sono "meno rischiose" da un database creato dall'utente secondo la politica aziendale.
Secondo un rapporto di Huffington Post, il nuovo strumento di Google non rileva solo frasi potenzialmente problematiche, ma anche informa terzi riguardo la violazione delle politiche nel particolare documento. Questa tecnologia sarà applicabile alla corrispondenza elettronica tra cui e-mail, documenti Word, fogli di calcolo, presentazioni, ecc. e può essere personalizzata per essere eseguita su qualsiasi tipo di dispositivo di elaborazione, come un computer, set-top box, telefono cellulare o altro tipo di dispositivo di elaborazione.  Secondo il rapporto, una "parola o frase problematica" possono indicare alcune parole o frasi dal database di Google, che possono potenzialmente violare i protocolli della società. Questo software potrebbe essere impiegato anche per combattere fenomeni come il cyberspionaggio, la violazione della proprietà intellettuale, la fuga di informazioni classificate e la tutela dell'immagine aziendale. Il brevetto "Policy Violation Checker" è stato regolarmente depositato lo scorso 2 maggio negli Stati Uniti ed è liberamente consultabile  alla pagina http://goo.gl/zmJ9d
Il software potrebbe essere applicato al di là della posta elettronica per includere qualsiasi documento elettronico. La tecnologia ha destato in alcuni motivo di preoccupazione per la privacy. Per smorzare le polemiche, il portavoce di Google Matt Kallman ha comunicato con una mail che anche se il brevetto dovesse essere approvato non è detto che l'azienda potrebbe produrre un software da lanciare sul mercato: "La nostra idea è facilitare i processi aziendali - ha detto Kallman - alcuni progetti presentati come brevetti sono diventati realtà, altri no e quindi non è detto che questo venga realmente realizzato".

martedì 22 novembre 2011

Internet a prova di bimbo


Google offre lezioni per colmare il divario digitale: le scuole italiane sono le più indietro in Europa Dati scoraggianti emersi nel giorno degli Stati Generali 2011 della Società Italiana di Pediatria .

 Fornire a genitori e insegnanti strumenti e consigli per aiutarli a scegliere i contenuti che i loro bambini possono visualizzare online. Nel giorno degli Stati generali indetti dalla Società italiana di Pediatria (Sip), il Centro sicurezza online per la famiglia di Google, il motore di ricerca su Internet più utilizzato al mondo, che proprio sul tema della protezione dei minori sul web, mette l’accento sull’importanza di «guidare i bambini all’utilizzo del web, esattamente come si insegna loro a camminare, a scrivere, parlare», dice Simona Panseri, direttore della Comunicazione e responsabile dei progetti Child Protection di Google Italy. «Il centro - spiega - è attivo da quasi un anno e mette a disposizione delle famiglie una serie di strumenti utili per accompagnare gli ’adulti di domanì a un utilizzo corretto e non rischioso di internet». Compito non facile, dato che spesso «i ragazzi sono molto più bravi e smaliziati dei genitori. Ma è possibile far comprendere loro che, come nella vita, esistono delle regole anche nella Rete». Un esempio su tutti, il filtro SafeSearch sulle ricerche che consente di alzare il livello di protezione, che normalmente è medio, a quello massimo. E se il bambino tenta di manomettere le impostazioni inserite dai genitori «avrà la percezione di averlo fatto, mentre invece è solo chi possiede la password a poter modificare il filtro». Stesso discorso anche su YouTube, «che è adatto all’uso dai 13 anni in sù: i minori di questa età non possono aprire account nè postare video. Si possono mostrare i filmati ai piccoli, ma in presenza di un adulto». YouTube organizza anche incontri nelle scuole in collaborazione con la polizia postale, per insegnare agli alunni «l’importanza delle impostazioni sulla privacy, di non pubblicare dati personali su Internet e le regole di sicurezza su come e quali video o immagini è meglio postare o meno».  Dopo il successo dello scorso anno, che ha visto l’adesione di più di 180.000 studenti, YouTube e la polizia delle comunicazioni hanno rinnovato l’appuntamento formativo anche per l’anno scolastico 2010-2011, allargando l’invito anche ai genitori. Tutto questo in un panorama scoraggiante: la popolazione italiana è ancora indietro sull’uso di Internet, che spesso è però consultato dai bambini in assoluta solitudine, senza controlli. I bambini e gli adolescenti italiani infatti sono agli ultimi posti in Europa per alfabetizzazione digitale, le scuole nostrane sono quelle con il minor accesso a Internet nella Ue (49% contro una media del 62%), e gli insegnanti italiani sono all’ultimo posto per l’utilizzo di internet a scuola (65% contro il 73%). Sono alcuni dei dati di un’indagine europea condotta in 25 paesi su 25 mila bambini tra i 9 e 16 anni, presentata a Milano agli stati generali della pediatria. I minori iniziano dunque a usare il web sempre prima: a 7 anni in Svezia e Danimarca, 8 negli altri paesi nordici, 10 in Grecia, Italia e Portogallo. Il 93% del campione ha detto di navigare in rete almeno una volta a settimana, il 60% una volta al giorno per 90 minuti, spesso senza la supervisione di un adulto. L’Italia registra un primato poco invidiabile su questo fronte, visto che ha il dato più alto (62% contro il 49%) di accessi a internet dalla propria camera senza la supervisione di un genitore. Anche se web viene usato per attività positive, come ricerche scolastiche (85%) e giochi (83%), sono sempre più numerosi i piccoli presenti sui social network. Il 57% in Italia ha un suo profilo su Facebook e simili, anche se vietati ai minori di 13 anni. Il 26% ha 9-10 anni, il 49% ha 11-12 anni, il 73% ha 13-14 anni e l’82% ha 15-16 anni. Le insidie non mancano: il 41% dei ragazzi si è imbattuto infatti in contenuti pericolosi, e il 12% ne è rimasto turbato. Tra questi c’è la pornografia (vista dal 7% dei ragazzi tra i 9 e 16 anni in Italia), bullismo (2%), sexting, cioè messaggi a sfondo sessuale (15% in Ue, 4% in Italia), incontri offline con persone conosciute in rete (4%), o visto video generati dagli utenti che inneggiano all’odio (12%), anoressia (12%) e autolesionismo (7%). Ma i genitori, soprattutto italiani, sono spesso inconsapevoli di tutto ciò. Solo il 28% usa filtri Internet, il 73% ritiene che non vi siano pericoli di incontri in rete che possano turbare e l’81% ignora che i propri figli abbiano ricevuto online messaggi offensivi.
Fonte: La Stampa