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domenica 15 marzo 2020
sabato 14 marzo 2020
giovedì 29 novembre 2018
Corsi di formazione “Educazione Digitale/prevenzione cyberbullismo” Scuole (ragazzi,genitori,docenti e personale ATA)

- Digital Life: potenzialità e rischi della Rete
- Cybersecurity: sicurezza dei dispositivi e protezione del dato digitale
- Identità Digitale, frodi e crimini informatici: come prevenire il furto d’identità
- NetPrivacy: come tutelarla
- WebReputation: gli strumenti di tutela e monitoraggio
- Cyberbullismo: indicazioni resilienza digitale e prevenzione
- Social Media: guida ad un uso corretto e responsabile
Per maggiori informazioni: mauro.ozenda@hotmail.it
lunedì 28 maggio 2018
Educazione Digitale : attività formazione scuole anno scolastico 2018-2019
Nel
corso di quest’anno ho avuto modo di incontrare oltre 5000 ragazzi e oltre 1000
genitori/docenti degli istituti comprensivi e istituti superiori.
La
tematica affrontata riguarda L’EDUCAZIONE DIGITALE
con una particolare attenzione a tutto ciò che può aiutare in fase preventiva
circa i rischi e pericoli che si presentano in Rete. Molto l’interesse
suscitato sia sui ragazzi che sugli adulti raggiunti dagli interventi
formativi. La prevenzione passa per la
formazione e la mia soddisfazione maggiore, dopo 10 anni che svolgo attivamente
questo tipo di attività all’interno delle scuole, è toccare i risultati
raggiunti con un riscontro oggettivo derivante da quanto riportano da un lato i
genitori e dall’altro gli insegnanti con i quali ho sempre modo di
confrontarmi. Sfruttare al massimo e nel migliore dei modi Internet e i Social
consapevoli dei rischi e pericoli che la Rete presente. Quest’anno uno degli
incontri più belli è stato quello sui genitori dell’infanzia di Roncadelle (BS)
dove mi sono reso conto di aver trasmesso loro concetti e suggerimenti utili
per consentir loro una sana e corretta educazione digitale mediante sistemi di
protezione tecnologica ma soprattutto REGOLE
e AFFIANCAMENTO. Credo che incontri come questo dovrebbero diventare un
modello da seguire in tutte le scuole dell’infanzia italiane.
Entro
fine giugno solitamente le scuole approvano i progetti per l’anno successivo. Se
interessati per la Vostra realtà scolastica di riferimento le tematiche
affrontate sono le seguenti :
- Rischi e pericoli della Rete
- Sicurezza e Privacy online
- Reputazione Personale Online
- Cyberbullismo: indicazioni resilienza digitale e prevenzione
- Social Network e Comunicazione online: guida all’uso
- Affidabilità dei contenuti e dei siti web
- Diritto d’autore e licenze contenuti digitali
· Formazione personale su Cybersecurity, Protezione dei Dati
e Privacy alla luce della nuova normativa europea GDPR
Su
Pinterest alcuni dei principali progetti seguiti:
Per
info: mauro.ozenda@hotmail.it
venerdì 3 novembre 2017
EdiTouch : il primo tablet per l'apprendimento facilitato a supporto di BES e DSA
In questi giorni ho avuto il piacere di provare e testare un tablet davvero particolare, congegnato ad hoc per un target ben preciso di bambini e ragazzi. Debbo dire che sono rimasto colpito favorevolmente in particolare per la semplicità d'uso e le applicazioni ad uso didattico studiate ad Hoc per il mondo della dislessia. Un tablet che mi sento di consigliare a tutti i genitori e insegnanti che vivono a contatto con figli che necessitano di un'attenzione e cura in particolare durante lo studio.
Pensato per aiutare i bambini dislessici (DSA), è utile ai bambini con Bisogni Educativi Speciali (BES) e risulta efficace in generale per tutti gli studenti.
Si tratta del primo strumento in Italia la cui efficacia è stata validata attraverso una sperimentazione scientifica coordinata dal Servizio Sanitario e Università durata due anni e che ha coinvolto oltre 400 studenti.
EdiTouch è riconosciuto dal servizio sanitario (ASL) come strumento compensativo utilizzabile a scuola ed a casa in linea con la legge 170/2010.
Appositamente studiato per un apprendimento facilitato in ambito scolastico. Contiene numerosi programmi ed i principali strumenti compensativi utili ai ragazzi con DSA, realizzati con il contributo di logopedisti e specialisti nell'ambito dei disturbi specifici dell'apprendimento (DSA)
Esiste una suite di programmi per le scuole primarie, per le scuole secondarie di primo grado e un modello specifico per le scuole secondarie di secondo grado in modo da poter raccogliere feedback ed indicazioni di possibili miglioramenti anche in quell'ambito. Tutte le versioni arrivano dotate dei software a supporto di bambini e ragazzi con bisogni educativi speciali (BES) e Disturbi specifici dell’apprendimento (DSA).
Principali funzionalità
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Launcher Editouch |







Font ad alta leggibilità : Sul tablet sono precaricati dei font ad alta leggibilità che rendono più semplice la lettura ai ragazzi dislessici. I font utilizzati sono stati oggetto di una (o più) sperimentazioni che ne hanno confermato la maggior efficacia rispetto agli altri caratteri.

Tastiera parlante (Lettera 51) : La tastiera parlante fornita con tutti i modelli EdiTouch fornisce suggerimenti sulla correttezza ortografica mentre si scrive e legge a voce alta quanto viene scritto utilizzando la sintesi vocale. Grazie alle funzionalità messe a disposizione da google consente anche agli utilizzatori di dettare i testi invece che scrivere. Lettera 51 funziona con tutte le app scaricate sul tablet
Funzionalità di controllo : una serie di componenti applicativi consentono di definire in maniera puntuale i programmi accessibili allo studente (tutti gli altri sono protetti da password). In questo modo è possibile focalizzare l’attenzione dei ragazzi e tranquillizzare insegnanti e genitori sull'uso che viene fatto del dispositivo. E’ possibile controllare e monitorare ciò’ che fa il ragazzo in Internet inibendo l’acceso a contenuti non adeguati, in orari non consoni e/o tenendo traccia delle interazioni sociali per prevenire cyberbullismo o attività poco ortodosse
Ho avuto modo di testarlo e posso garantire che è un ottimo strumento decisamente utile e di facile gestione.
E' possibile acquistarlo online a un costo che è variabile a seconda del modello (vedi Modelli disponibili )
PUOI ACQUISTARLO IN PROMO CON UNO SCONTO DI 10 euro qui (ricordati solo di inserire il CODICE PROMO: UT1CNJYAOVGJF0P18HVSI9EE )
giovedì 12 ottobre 2017
I diritti dei bambini verso il cyberbullismo e bullismo
Bulletti nelle scuole: ecco i passi da seguire per difendersi.
Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca hanno promosso un Piano nazionale per prevenire e combattere il bullismo e il cyberbullismo in classe. Il Piano prevede la promozione di incontri di formazione e sensibilizzazione con gli studenti delle scuole secondarie per la conoscenza dei diritti e dei doveri in internet di cui ogni cittadino è titolare, con l’obiettivo di avviare un processo di educazione digitale: iniziative di formazione per i docenti e la progettazione di azioni finalizzate a sensibilizzare i ragazzi ad una riflessione sull’uso corretto della rete.
- I bambini hanno il diritto di frequentare scuole nelle quali vi siano docenti anti-bullo (che svolgono attività di prevenzione e di sostegno rispetto al bullismo ed al cyberbullismo) [1] e dirigenti scolastici attenti che, in presenza di atti di bullismo, ne informino immediatamente i genitori o gli esercenti la responsabilità genitoriale [2].
- I bambini hanno diritto di ricevere il sostegno dalle autorità (che si è manifestato tramite la sensibilizzazione, la repressione e l’istituzione del numero 1.96.96) [3].
- I bambini hanno diritto di chiedere (anche senza l’ausilio dei genitori, qualora abbiano già compiuto 14 anni) al questore che ammonisca la persona che ha realizzato nei loro confronti atti di bullismo o di cyberbullismo, purchè non abbiano già presentato formale atto di denuncia-querela [4].
- I bambini hanno diritto di chiedere (anche senza l’ausilio dei genitori, qualora abbiano già compiuto 14 anni) al titolare del trattamento o al gestore del sito internet o dei social media nei quali sono pubblicate le foto, i video e le informazioni (ritenuti atti di cyberbullismo) la cancellazione, la rimozione o l’oscuramento dei contenuti offensivi e denigratori.
- I bambini, in assenza di risposta alla richiesta di cancellazione o oscuramento, presentata al gestore del sito, hanno il diritto di ricorrere al garante per la protezione dei dati personali, il quale provvederà alla rimozione dei contenuti offensivi entro 48 ore.
- I bambini hanno il diritto di presentare formale atto di querela contro i responsabili delle azioni di bullismo o cyberbullismo compiuti nei loro confronti, ma solo con l’assistenza dei loro genitori (o di chi esercita la responsabilità genitoriale in loro vece). Potranno querelare il responsabile anche se avevano già chiesto (ma senza esito favorevole) l’intervento del questore.
mercoledì 4 ottobre 2017
Riprende la mia attività nelle scuole
Promuovere e diffondere
la cultura del possibile uso consapevole, sano, legale e sicuro di Internet e
dei Social Media
Sensibilizzare ed
aggiornare i ragazzi su temi quali le potenzialità del web, la legalità e
sicurezza informatica, i rischi e pericoli della Rete e dei Social Network,
tutela della privacy, diritto d’autore, cyberbullismo, reputazione online e
protezione dei dati personali, codice etico della Rete
Indicare gli
strumenti tecnologici di protezione, controllo e monitoraggio delle attività
dei ragazzi online
Arginare il fenomeno della dipendenza dalle nuove
tecnologie fornendo le giuste indicazioni educative
Educare a
riconoscere i contenuti affidabili in Rete. Riconoscere le bufale, post verità
e fake news
Guidare all’utilizzo delle licenze software e dei
contenuti multimediali online: copyright, pubblico dominio e open licensing
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educazione digitale,
Formazione,
ragazzi,
scuola,
Social Media,
social network
giovedì 11 maggio 2017
Attività formativa scuole 2017-2018 : Educazione e cultura digitale
Per l'anno scolastico 2017-2018 è mia intenzione attivare una serie di contatti con scuole, associazioni e aziende per pianificare un'attività formativa sul territorio nazionale mirata ad incrementare il livello di conoscenza e preparazione dei bambini/ragazzi circa l'approccio a Internet, Social Network, sistemi di comunicazione e condivisione, nell'ottica della prevenzione fenomeno del CYBERBULLISMO, con una particolare attenzione alle seguenti tematiche:
- Rischi e pericoli della Rete
- Tutela Privacy online
- Prevenzione pedopornografia e grooming
- Social Network e Comunicazione online: guida all'uso
- La sicurezza e la protezione del dato digitale
- Affidabilità dei contenuti e fake news
- Personal e Brand Reputation
- Cyberbullismo e Cyberstalking: conoscerlo per prevenirlo
- Dipendenza da internet e videogiochi: modalità di intervento
- Diritto d'autore : tipologie licenze per contenuti
- Gestione policy/regolamenti istituto e segreteria scolastica
L'obiettivo PRIMARIO è, oltreché formare i bambini della scuola primaria e della scuola media inferiore, sensibilizzare e informare DOCENTI E GENITORI fornendo altresì un feedback su come si comportano i bambini/ragazzi in Rete e con gli attuali strumenti di comunicazione e socializzazione.
Dirigenti scolastici, insegnanti, educatori e genitori interessati ad un progetto mirato in tal senso possono contattarmi all'indirizzo email: mauro.ozenda@gmail.com .
Alcuni dei miei corsi
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giovedì 30 marzo 2017
Fake news, disinformazione, cattivo giornalismo. Imparare a informarsi sin da piccoli
Progetti formativi nelle scuole per dare agli studenti le chiavi per informarsi in maniera critica e sapersi orientare in un ecosistema informativo sempre più complesso e articolato. È quanto stanno sperimentando alcuni progetti pilota in diversi paesi per “fare formazione alle informazioni”, come scrive Delphine Rocaute su Le Monde, e dare degli strumenti per saper individuare le false informazioni. È utile comunque specificare che le fake news non sono un fenomeno nato oggi né sono un trabocchetto inventato con i social media. Nelle epoche passate le abbiamo classificate sotto la voce “propaganda”, spiega Rouala Khalaf sul Financial Times. Con l’era digitale si è ampliato il raggio della loro diffusione: possono raggiungerci con molta facilità fin dentro casa nostra e intrufolarsi nella nostra vita quotidiana, contribuendo a generare confusione sui fatti e sulle idee che ci facciamo su quanto accade intorno a noi. Si tratta di una questione complessa che va oltre la natura delle notizie (vere o false) e chiama in causa la qualità del giornalismo (online e offline) e l’intero ecosistema informativo. Al riguardo, in un recente articolo su First Draft, Claire Wardle ha evidenziato sette modi di fare disinformazione per arrivare a conoscere la grammatica delle fake news, avere gli strumenti per poter interpretare quel che leggiamo e osserviamo e conoscere meglio come i contenuti vengono disseminati (e con quali motivazioni) in un ambiente informativo sempre più complesso. Leggi anche >> Facile dire fake news. Guida alla disinformazione Le fake news pongono una sfida educativa su come informarsi con consapevolezza, acquisire coscienza del fatto che ognuno è a propria volta un media e maturare un approccio critico alle informazioni. Come ha dichiarato di recente, Thomas Boll, docente della scuola di giornalismo Newhouse alla Syracuse University, «l’alfabetizzazione ai media dovrebbe diventare parte integrante dei corsi di educazione civica, che ogni cittadino dovrebbe essere chiamato a frequentare. L’obiettivo di questi progetti dovrebbe essere fare della mente e del cervello uno strumento di verifica dei fatti». A tal proposito sta iniziando la sperimentazione di corsi di educazione al digitale che cercano di rendere familiari alcuni strumenti per poter riconoscere le fake news e, aggiunge Khalaf, saper distinguere tra giornalismo responsabile e notizie artefatte. Leggi anche >> Perché dobbiamo insegnare ai bambini come stare online «Saper riconoscere un’informazione vera da una falsa è una competenza fondamentale, oggi», ha dichiarato al Telegraph il direttore dell’area educazione e competenze dell’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (Ocse), Andreas Schleicher. Chiunque utilizzi i social media o i siti di notizie, ha aggiunto Schleicher, deve essere in grado di valutare, verificare e riflettere sulle informazioni che vengono date. E le scuole sono il luogo dove poter discutere punti di vista e opinioni differenti. Per questo, l’Ocse ha annunciato l’introduzione di una nuova categoria analitica per i suoi test denominata “competenze globali”, che valuterà come gli studenti approcciano criticamente le informazioni disseminate sui social media e se sono in grado di rilevare affermazioni dubbie. I nuovi test, che partiranno nel 2018 e i cui risultati saranno pubblicati nel 2019, riguarderanno i ragazzi entro i 15 anni di 70 paesi. Il progetto di Le Monde in Francia In Francia, Le Monde ha ideato un kit informativo da presentare nelle scuole per rafforzare la consapevolezza del proprio stare in rete e della provenienza delle informazioni. Come, ad esempio, quando un contenuto satirico, decontestualizzato, viene trattato come una notizia, oppure per le informazioni provenienti da siti di parte. Il progetto si rivolge agli studenti delle scuole superiori con interventi in aula e l’utilizzo di contenuti didattici on line sul sito. Un gruppo di giornalisti del quotidiano francese fino alla fine dell’anno scolastico 2016-2017 andrà nelle scuole che ne faranno richiesta per aiutare i docenti nel fare formazione e per spiegare il mestiere di giornalista, in vista di un progetto educativo più ambizioso e strutturato da proporre a partire da settembre 2017. L’obiettivo, racconta Akexandre Pouchard, uno dei responsabili del progetto, è stimolare all’informazione soggetti, come gli studenti, che al tempo stesso “sono tra i più vulnerabili e permeabili alla diffusione delle fake news e non costituiscono i nostri lettori abituali. Si tratta dunque di figure con le quali entrare in contatto e da imparare a conoscere”. La guida preparata da Le Monde è uno strumento per aiutare a verificare le informazioni e individuare manipolazioni di notizie e casi di disinformazione. È un documento – spiegano gli autori – che raccoglie al suo interno illustrazioni, consigli utili, esempi pratici ed esercitazioni, da utilizzare come guida per navigare e cercare informazioni su internet o come base per ogni docente che voglia investire in educazione ai media in classe.
l kit per i docenti fa parte di un progetto più ampio, chiamato Decodex, lanciato nel mese di febbraio (e che ha ricevuto anche alcune critiche sulla sua efficacia), che si propone di verificare le false informazioni in rete, attraverso un motore di ricerca dove inserire l’indirizzo di un sito per controllarne l’attendibilità, un’estensione su Chrome e Firefox, che dice in tempo reale se il sito è affidabile o meno, e un bot che risponde sul messenger di Facebook alle domande degli utenti. Decodex, si legge su Le Monde, è nato per rendere più veloce e facile la verifica delle informazioni e alleviare quella sensazione di “svuotare l’oceano con un cucchiaino” quando “artigianalmente, a mano, si individuano e verificano quelle notizie su cui si ritiene di dover fare luce”. In particolare, l’obiettivo è quello di dare qualche punto di riferimento nei casi di contenuti ingannatori, quando cioè il contenuto viene spacciato come proveniente da fonti realmente esistenti e invece sono false. “Ci è sembrato necessario – proseguono gli autori – indicizzare i maggiori siti, i blog, le pagine di Facebook, gli account Twitter e i canali di YouTube, per certificare a un nostro lettore che se, ad esempio, sta navigando sul sito lemonde.fr, è su un sito fasullo che sta utilizzando il nostro nome. Si tratta di un processo lungo e che necessita di collaborazione, anche grazie alle sollecitazioni e ai dubbi dei lettori”. Le “lezioni” del New York Times in America Da alcuni anni il New York Times dedica molti articoli a esercitazioni e lezioni di media literacy rivolti a studenti, docenti e lettori a partire da contenuti pubblicati sul quotidiano statunitense stesso. Già nell’ottobre 2015, ben prima che l’Oxford Dictionary definisse “post-truth” parola dell’anno per il 2016, Katherine Schulten aveva pubblicato un piano di lezioni dal titolo Fake News vs. Real News. Determinare l’affidabilità delle fonti mostrando strumenti e strategie per distinguere le informazioni false da quelle vere. In un nuovo articolo dello scorso gennaio, Schulten ha presentato nuovi strumenti didattici – distinti in due sezionI: problemi e soluzioni possibili – rivolti ai docenti “per aiutare i loro studenti a muoversi in un paesaggio inospitale”. A cosa ci riferiamo quando parliamo di fake news, come individuare le diverse tipologie di informazioni non attendibili, come mappare la diffusione e l’espansione delle informazioni false, quali sono gli effetti della loro viralità. La prima parte dell’articolo è dedicato a definire i problemi che le fake news pongono e presenta alcune esercitazioni per far sì che gli studenti possano confrontarsi criticamente e capire dove e cosa andare a cercare per poter verificare le informazioni che circolano in rete. La seconda parte, invece, punta ad alcune possibili soluzioni. Come fare a sapere se quel che si legge on line è vero? La soluzione, scrive Schulten, è porre le “domande giuste” ai contenuti o siti che consultiamo. Prima di condividere qualcosa dovremmo chiederci: chi ha scritto la storia che stiamo per condividere? Come, perché e quando è stata scritta? Cosa manca? A cosa mi porta questa storia? Dovremmo quindi accertarci che i contenuti siano attendibili, verificando le immagini o i video, controllando url, account, nome e data della pubblicazione, seguendo i link inseriti negli articoli e leggendo la sezione “chi siamo” dei siti sui quali finiamo. L’articolo poi suggerisce di consultare regolarmente siti che si occupano di fact-checking (come Factcheck.org, Snopes.com e Politifact.com) e di curare il proprio ecostistema informativo. Lo scorso dicembre, Buzzfeed ha ripercorso a ritroso i messaggi su Twitter dell’attuale presidente Donald Trump per ricostruire il suo “ecosistema mediatico”. La giornalista propone un esercizio simile per gli studenti. Si potrebbe chiedere loro di tenere traccia per 48 ore degli articoli di notizie che hanno letto, cliccato o condiviso, annotando la fonte di ognuno. Quindi si potrebbe utilizzare Wordle per creare una rappresentazione visiva delle fonti maggiormente utilizzate. A questo punto si potrebbe chiedere agli studenti di discutere in classe quali sono le loro principali fonti informative e verificare la loro attendibilità attraverso le cosiddette “domande giuste”. Infine, si potrebbe chiedere agli studenti di curare i loro account Facebook e Twitter per assicurarsi che in futuro ottengano notizie da fonti attendibili e riflettano da quanti punti di vista diversi acquisiscono le informazioni. I progetti in Italia Nicola Bruno è un giornalista, specializzato nel fact-checking, tra i fondatori di DataNinja e Factcheckers.it, un'associazione no profit (creata con Gabriela Jacomella e Fulvio Romanin) che si occupa di educazione al fact-checking, nata nel 2016 durante un incontro alla Global Fact, una conferenza internazionale promossa dall’International Fact-Checking Network at Poynter (IFCN) in cui si riuniscono le diverse organizzazioni internazionali specializzate sul tema (come ad esempio Full Fact in Inghilterra, PolitiFact negli Stati Uniti e Chequeado in Argentina). «Quando siamo nati, abbiamo deciso di sondare il contesto educativo, portandovi quindi il tema del fact-checking», racconta Bruno a Valigia Blu. Proprio per questo motivo, i soggetti a cui rivolgersi con questa iniziativa, continua il giornalista, sono stati da subito studenti, genitori e docenti: «il discorso dell’educazione va fatto sempre a questi tre livelli. Non si può pensare di coinvolgere solo gli studenti, quando poi i docenti non sono formati su questo tema, né tanto meno si può pensare di introdurre la cultura della verifica delle fonti, ecc, senza coinvolgere i genitori». Sono così nate alcune iniziative mirate a fornire gli strumenti utili per far nascere una cultura della verifica delle fonti nei contesti divulgativi, quindi scolastici e familiari, anche perché, «a livello culturale, su queste tematiche siamo nel momento peggiore, perché un sacco di gente è arrivata online, passando dal tg a facebook direttamente, e quindi senza avere una serie di strumenti di codifica, partendo dalla basi come che cos’è un url, un account, ecc», spiega Bruno.
Innanzitutto, tra i primi progetti c’è stato il contribuito a creare la giornata del prossimo 2 aprile sul fact-checking, International fact checking day, realizzando il pacchetto educativo sul sito. Si tratta di un kit utilizzabile esclusivamente dai docenti che contiene una lezione basica simulata di un’ora e mezzo: nella prima parte, vengono forniti agli studenti una serie di esempi di articoli in cui devono distinguere cosa è un fatto e cosa è un’opinione, «non in maniera manichea, ma quantomeno per porsi la questione»; nella seconda, poi, si passa a un esercizio pratico, «chiedendo ai ragazzi una ricerca per immagini di un articolo fake, trovando qual è la vera origine di quell’immagine o foto». Infine, viene mostrato un video animato che spiega la differenza tra fatto e opinione e poi è previsto un momento di confronto tra il docente e gli studenti su quanto svolto in classe. Sempre in occasione della giornata del 2 aprile, Bruno poi ci racconta di un altro progetto (che sarà lanciato oggi, 29 marzo), in collaborazione con Sky Academy, cioè una struttura con veri studi televisivi messi a disposizione gratuitamente da Sky alle scuole per lo svolgimento di esperienze di apprendimento nel mondo giornalistico televisivo. Si tratta di un’iniziativa dedicata al tema specifico del fact-checking e delle fonti, indirizzata questa volta però non ai docenti, ma ai ragazzi di 15–18 anni, in cui sarà rilasciato un altro minikit digitale. «All’interno ci sono 10 contenuti informativi, non necessariamente fake news ma anche cose un po’ vere magari, tramite cui stimoliamo a riflettere. Ad esempio, c’è una foto di Paris Hilton con una maglietta con su scritto “Smettila di essere povero” e noi ti chiediamo “È vero?”. Giri questa card e c’è scritto “No, non è vero” e infatti se controlli vedi che Paris Hilton aveva detto in realtà “Smettila di essere disperato”. Ci sarà anche un’infografica in cui vengono elencate le 10 cose da controllare prima di condividere un contenuto online, come “Vedi se c’è la spunta blu sugli account che ne certificano l’ufficialità” o “Leggi bene l’url perché ilfattoquotdaino.it non è ilfattoquotidiano.it”».
Infine, i veri e propri corsi nelle scuole (che accetteranno la collaborazione) dovrebbero iniziare il prossimo anno scolastico. Il giornalista spiega che stanno sviluppando progetti e percorsi con altre persone con esperienze differenti rispetto al mondo del giornalismo come Stefano Moriggi, filosofo della scienza e ricercatore, e Paolo Ferri, professore ordinario di Didattica e pedagogia speciale, entrambi dell’università Bicocca di Milano, che lavorano da tempo sul sistema dell’educazione ai media (media education), sia dal punto di vista della ricerca scientifica che da quello pratico, con iniziative come “Genitori connessi” in cui vengono messi insieme genitori e figli per farli riflettere sui media e come utilizzarli in maniera consapevole. Stefano Moriggi, sentito da Valigia Blu, spiega così che l’obiettivo è di «fare quello che in Italia non ha ancora preso piede che non è tanto il fact-checking in quanto tale, ma progetti calibrati per scuole di diverso ordine di educational fact-checking, quindi facendo dei laboratori che diffondono e condividono delle pratiche di criticità per gradi e livelli». La metodologia utilizzata, spiega Bruno, sarà quella dei due ricercatori della Bicocca già sperimentata sul campo in questi anni nelle strutture scolastiche, come nel Veneto, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lazio e Campania «che prevede 5 blocchi, in cui c’è la parte frontale, teorica, ma anche la parte più pratica, con laboratori. Nel primo blocco, i ragazzi fanno un quiz che serve a valutare le loro conoscenze (tipo saper leggere l’url). Poi, c’è la parte più introduttiva, teorica e metodologica, in cui viene spiegato l’importanza del tema. La terza parte è più pratica con siti web da verificare. La quarte si punto a iniziative laboratoriali dove l’obiettivo non è più rispondere vero o falso, ma proprio ragionare e sviluppare un approccio critico nella lettura di un articolo. Infine il quinto passaggio, quello finale in cui ci si incontra e si discute su quello che si è appreso, per vedere i passi in avanti fatti». Moriggi inoltre precisa che fino a questo momento non ci sono stati rapporti sui loro progetti con il ministero dell’Istruzione: «sono nostri percorsi che conduciamo in maniera “artigianale” con le scuole che di volta in volta vogliono collaborare con noi». Proprio per capire quali sono le iniziative del Miur sul tema della media literacy e in particolare su analisi critica di media e rete a scuola, abbiamo contattato Damien Lanfrey, membro della segreteria tecnica del Ministero, e Donatella Solda, dirigente nell'ufficio di gabinetto del Miur. Solda spiega così che le linee di policy al riguardo si basano principalmente su due bandi in particolare, precisando comunque che quello della media literacy è un tema trasversale a molte delle azioni del ministero: «è evidentemente simbolico e importante avere degli investimenti, bandi, azioni dedicati esplicitamente a questa tematica, ma è anche importante sottolineare che è un approccio trasversale, che aumenta l'impatto e l'efficacia, se questi obiettivi sono realizzati e incoraggiati in tutti i bandi». Il primo bando di circa 80 milioni di euro a cui si fa riferimento, aggiunge Lanfrey, è all’interno del PON (cioè il Programma Operativo Nazionale del Miur), lanciato circa quindici giorni fa e che si divide in due obiettivi: “pensiero computazionale e creatività digitale” (40 milioni di euro) e “cittadinanza digitale” (40 milioni di euro). La prima direttiva si focalizza sul “promuovere gli elementi fondamentali per l’introduzione alle basi della programmazione, anche allo scopo di sviluppare le competenze collegate all’informatica”, mentre con la “cittadinanza digitale”, «(quella che voi chiamate media literacy) che avrà un impatto su circa 4mila/5mila scuole, cioè il il 60%/70% del totale, con l’impegno di renderlo strutturale», si punta tra le altre cose a educare prioritariamente alunni della scuola secondaria di primo e secondo grado “alla valutazione della qualità e della integrità delle informazioni, alla lettura, scrittura e collaborazione in ambienti digitali, alla comprensione e uso dei dati e introduzione all’open government, al monitoraggio civico e al data journalism”. «Ovviamente – spiega Lanfrey – la nostra chiave di lettura non è andare a definire i comportamenti, ma fornire ai ragazzi gli strumenti, le cosiddette strategie comportamentali, per arrivare a fare le cose giuste». Essendo comunque il PON un bando progettuale, bisogna specificare che saranno le scuole a dover presentare progetti e svilupparli, «anche se noi nell’allegato tecnico siamo stati abbastanza chiari nelle tematiche che dovranno ricevere particolare attenzione ed essere sviluppate». Per accompagnare comunque gli istituti scolastici in questi percorsi, il Miur sta immaginando direzioni informative su cui potersi basare e progettando azioni formative per i docenti «perché non possiamo lasciarli da soli», specifica Lanfrey. “Curricoli digitali” è invece il secondo bando (da 5 milioni di euro), lanciato qualche mese fa e inserito nell’ambito del Piano nazionale per la scuola digitale (PNSD), che insieme a quello presente all’interno del PON, definisce la parte più importante di un percorso educativo su media literacy portato avanti del ministero dell’Istruzione. L’obiettivo, si legge nell’avviso pubblico, è “la realizzazione, a favore delle istituzioni scolastiche ed educative statali, di curricoli, ossia formati e strumenti innovativi, per lo sviluppo di competenze digitali, che siano in grado di accompagnare le attività curricolari di apprendimento degli studenti sui temi del digitale e dell’innovazione attraverso percorsi didattici fortemente innovativi”. Le proposte progettuali dovranno inoltre seguire precise aree tematiche, come: diritti in internet, educazione ai media (e ai social) e all’informazione, big e open data ed educazione alla lettura e alla scrittura in ambienti digitali. Lanfrey sottolinea infine che il Ministero ha riscontrato però difficoltà a trovare dei partner per sviluppare questi progetti: «per dire le università ci sono, ma non hanno percorsi strutturati pronti. Abbiamo comunque cercato di mandare un segnale a tutti i possibili soggetti in gioco, anche al mondo giornalistico».
Fonte: Valigia Blu - Autore: Angelo Romano e Andrea Zitelli
l kit per i docenti fa parte di un progetto più ampio, chiamato Decodex, lanciato nel mese di febbraio (e che ha ricevuto anche alcune critiche sulla sua efficacia), che si propone di verificare le false informazioni in rete, attraverso un motore di ricerca dove inserire l’indirizzo di un sito per controllarne l’attendibilità, un’estensione su Chrome e Firefox, che dice in tempo reale se il sito è affidabile o meno, e un bot che risponde sul messenger di Facebook alle domande degli utenti. Decodex, si legge su Le Monde, è nato per rendere più veloce e facile la verifica delle informazioni e alleviare quella sensazione di “svuotare l’oceano con un cucchiaino” quando “artigianalmente, a mano, si individuano e verificano quelle notizie su cui si ritiene di dover fare luce”. In particolare, l’obiettivo è quello di dare qualche punto di riferimento nei casi di contenuti ingannatori, quando cioè il contenuto viene spacciato come proveniente da fonti realmente esistenti e invece sono false. “Ci è sembrato necessario – proseguono gli autori – indicizzare i maggiori siti, i blog, le pagine di Facebook, gli account Twitter e i canali di YouTube, per certificare a un nostro lettore che se, ad esempio, sta navigando sul sito lemonde.fr, è su un sito fasullo che sta utilizzando il nostro nome. Si tratta di un processo lungo e che necessita di collaborazione, anche grazie alle sollecitazioni e ai dubbi dei lettori”. Le “lezioni” del New York Times in America Da alcuni anni il New York Times dedica molti articoli a esercitazioni e lezioni di media literacy rivolti a studenti, docenti e lettori a partire da contenuti pubblicati sul quotidiano statunitense stesso. Già nell’ottobre 2015, ben prima che l’Oxford Dictionary definisse “post-truth” parola dell’anno per il 2016, Katherine Schulten aveva pubblicato un piano di lezioni dal titolo Fake News vs. Real News. Determinare l’affidabilità delle fonti mostrando strumenti e strategie per distinguere le informazioni false da quelle vere. In un nuovo articolo dello scorso gennaio, Schulten ha presentato nuovi strumenti didattici – distinti in due sezionI: problemi e soluzioni possibili – rivolti ai docenti “per aiutare i loro studenti a muoversi in un paesaggio inospitale”. A cosa ci riferiamo quando parliamo di fake news, come individuare le diverse tipologie di informazioni non attendibili, come mappare la diffusione e l’espansione delle informazioni false, quali sono gli effetti della loro viralità. La prima parte dell’articolo è dedicato a definire i problemi che le fake news pongono e presenta alcune esercitazioni per far sì che gli studenti possano confrontarsi criticamente e capire dove e cosa andare a cercare per poter verificare le informazioni che circolano in rete. La seconda parte, invece, punta ad alcune possibili soluzioni. Come fare a sapere se quel che si legge on line è vero? La soluzione, scrive Schulten, è porre le “domande giuste” ai contenuti o siti che consultiamo. Prima di condividere qualcosa dovremmo chiederci: chi ha scritto la storia che stiamo per condividere? Come, perché e quando è stata scritta? Cosa manca? A cosa mi porta questa storia? Dovremmo quindi accertarci che i contenuti siano attendibili, verificando le immagini o i video, controllando url, account, nome e data della pubblicazione, seguendo i link inseriti negli articoli e leggendo la sezione “chi siamo” dei siti sui quali finiamo. L’articolo poi suggerisce di consultare regolarmente siti che si occupano di fact-checking (come Factcheck.org, Snopes.com e Politifact.com) e di curare il proprio ecostistema informativo. Lo scorso dicembre, Buzzfeed ha ripercorso a ritroso i messaggi su Twitter dell’attuale presidente Donald Trump per ricostruire il suo “ecosistema mediatico”. La giornalista propone un esercizio simile per gli studenti. Si potrebbe chiedere loro di tenere traccia per 48 ore degli articoli di notizie che hanno letto, cliccato o condiviso, annotando la fonte di ognuno. Quindi si potrebbe utilizzare Wordle per creare una rappresentazione visiva delle fonti maggiormente utilizzate. A questo punto si potrebbe chiedere agli studenti di discutere in classe quali sono le loro principali fonti informative e verificare la loro attendibilità attraverso le cosiddette “domande giuste”. Infine, si potrebbe chiedere agli studenti di curare i loro account Facebook e Twitter per assicurarsi che in futuro ottengano notizie da fonti attendibili e riflettano da quanti punti di vista diversi acquisiscono le informazioni. I progetti in Italia Nicola Bruno è un giornalista, specializzato nel fact-checking, tra i fondatori di DataNinja e Factcheckers.it, un'associazione no profit (creata con Gabriela Jacomella e Fulvio Romanin) che si occupa di educazione al fact-checking, nata nel 2016 durante un incontro alla Global Fact, una conferenza internazionale promossa dall’International Fact-Checking Network at Poynter (IFCN) in cui si riuniscono le diverse organizzazioni internazionali specializzate sul tema (come ad esempio Full Fact in Inghilterra, PolitiFact negli Stati Uniti e Chequeado in Argentina). «Quando siamo nati, abbiamo deciso di sondare il contesto educativo, portandovi quindi il tema del fact-checking», racconta Bruno a Valigia Blu. Proprio per questo motivo, i soggetti a cui rivolgersi con questa iniziativa, continua il giornalista, sono stati da subito studenti, genitori e docenti: «il discorso dell’educazione va fatto sempre a questi tre livelli. Non si può pensare di coinvolgere solo gli studenti, quando poi i docenti non sono formati su questo tema, né tanto meno si può pensare di introdurre la cultura della verifica delle fonti, ecc, senza coinvolgere i genitori». Sono così nate alcune iniziative mirate a fornire gli strumenti utili per far nascere una cultura della verifica delle fonti nei contesti divulgativi, quindi scolastici e familiari, anche perché, «a livello culturale, su queste tematiche siamo nel momento peggiore, perché un sacco di gente è arrivata online, passando dal tg a facebook direttamente, e quindi senza avere una serie di strumenti di codifica, partendo dalla basi come che cos’è un url, un account, ecc», spiega Bruno.
Innanzitutto, tra i primi progetti c’è stato il contribuito a creare la giornata del prossimo 2 aprile sul fact-checking, International fact checking day, realizzando il pacchetto educativo sul sito. Si tratta di un kit utilizzabile esclusivamente dai docenti che contiene una lezione basica simulata di un’ora e mezzo: nella prima parte, vengono forniti agli studenti una serie di esempi di articoli in cui devono distinguere cosa è un fatto e cosa è un’opinione, «non in maniera manichea, ma quantomeno per porsi la questione»; nella seconda, poi, si passa a un esercizio pratico, «chiedendo ai ragazzi una ricerca per immagini di un articolo fake, trovando qual è la vera origine di quell’immagine o foto». Infine, viene mostrato un video animato che spiega la differenza tra fatto e opinione e poi è previsto un momento di confronto tra il docente e gli studenti su quanto svolto in classe. Sempre in occasione della giornata del 2 aprile, Bruno poi ci racconta di un altro progetto (che sarà lanciato oggi, 29 marzo), in collaborazione con Sky Academy, cioè una struttura con veri studi televisivi messi a disposizione gratuitamente da Sky alle scuole per lo svolgimento di esperienze di apprendimento nel mondo giornalistico televisivo. Si tratta di un’iniziativa dedicata al tema specifico del fact-checking e delle fonti, indirizzata questa volta però non ai docenti, ma ai ragazzi di 15–18 anni, in cui sarà rilasciato un altro minikit digitale. «All’interno ci sono 10 contenuti informativi, non necessariamente fake news ma anche cose un po’ vere magari, tramite cui stimoliamo a riflettere. Ad esempio, c’è una foto di Paris Hilton con una maglietta con su scritto “Smettila di essere povero” e noi ti chiediamo “È vero?”. Giri questa card e c’è scritto “No, non è vero” e infatti se controlli vedi che Paris Hilton aveva detto in realtà “Smettila di essere disperato”. Ci sarà anche un’infografica in cui vengono elencate le 10 cose da controllare prima di condividere un contenuto online, come “Vedi se c’è la spunta blu sugli account che ne certificano l’ufficialità” o “Leggi bene l’url perché ilfattoquotdaino.it non è ilfattoquotidiano.it”».
Infine, i veri e propri corsi nelle scuole (che accetteranno la collaborazione) dovrebbero iniziare il prossimo anno scolastico. Il giornalista spiega che stanno sviluppando progetti e percorsi con altre persone con esperienze differenti rispetto al mondo del giornalismo come Stefano Moriggi, filosofo della scienza e ricercatore, e Paolo Ferri, professore ordinario di Didattica e pedagogia speciale, entrambi dell’università Bicocca di Milano, che lavorano da tempo sul sistema dell’educazione ai media (media education), sia dal punto di vista della ricerca scientifica che da quello pratico, con iniziative come “Genitori connessi” in cui vengono messi insieme genitori e figli per farli riflettere sui media e come utilizzarli in maniera consapevole. Stefano Moriggi, sentito da Valigia Blu, spiega così che l’obiettivo è di «fare quello che in Italia non ha ancora preso piede che non è tanto il fact-checking in quanto tale, ma progetti calibrati per scuole di diverso ordine di educational fact-checking, quindi facendo dei laboratori che diffondono e condividono delle pratiche di criticità per gradi e livelli». La metodologia utilizzata, spiega Bruno, sarà quella dei due ricercatori della Bicocca già sperimentata sul campo in questi anni nelle strutture scolastiche, come nel Veneto, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lazio e Campania «che prevede 5 blocchi, in cui c’è la parte frontale, teorica, ma anche la parte più pratica, con laboratori. Nel primo blocco, i ragazzi fanno un quiz che serve a valutare le loro conoscenze (tipo saper leggere l’url). Poi, c’è la parte più introduttiva, teorica e metodologica, in cui viene spiegato l’importanza del tema. La terza parte è più pratica con siti web da verificare. La quarte si punto a iniziative laboratoriali dove l’obiettivo non è più rispondere vero o falso, ma proprio ragionare e sviluppare un approccio critico nella lettura di un articolo. Infine il quinto passaggio, quello finale in cui ci si incontra e si discute su quello che si è appreso, per vedere i passi in avanti fatti». Moriggi inoltre precisa che fino a questo momento non ci sono stati rapporti sui loro progetti con il ministero dell’Istruzione: «sono nostri percorsi che conduciamo in maniera “artigianale” con le scuole che di volta in volta vogliono collaborare con noi». Proprio per capire quali sono le iniziative del Miur sul tema della media literacy e in particolare su analisi critica di media e rete a scuola, abbiamo contattato Damien Lanfrey, membro della segreteria tecnica del Ministero, e Donatella Solda, dirigente nell'ufficio di gabinetto del Miur. Solda spiega così che le linee di policy al riguardo si basano principalmente su due bandi in particolare, precisando comunque che quello della media literacy è un tema trasversale a molte delle azioni del ministero: «è evidentemente simbolico e importante avere degli investimenti, bandi, azioni dedicati esplicitamente a questa tematica, ma è anche importante sottolineare che è un approccio trasversale, che aumenta l'impatto e l'efficacia, se questi obiettivi sono realizzati e incoraggiati in tutti i bandi». Il primo bando di circa 80 milioni di euro a cui si fa riferimento, aggiunge Lanfrey, è all’interno del PON (cioè il Programma Operativo Nazionale del Miur), lanciato circa quindici giorni fa e che si divide in due obiettivi: “pensiero computazionale e creatività digitale” (40 milioni di euro) e “cittadinanza digitale” (40 milioni di euro). La prima direttiva si focalizza sul “promuovere gli elementi fondamentali per l’introduzione alle basi della programmazione, anche allo scopo di sviluppare le competenze collegate all’informatica”, mentre con la “cittadinanza digitale”, «(quella che voi chiamate media literacy) che avrà un impatto su circa 4mila/5mila scuole, cioè il il 60%/70% del totale, con l’impegno di renderlo strutturale», si punta tra le altre cose a educare prioritariamente alunni della scuola secondaria di primo e secondo grado “alla valutazione della qualità e della integrità delle informazioni, alla lettura, scrittura e collaborazione in ambienti digitali, alla comprensione e uso dei dati e introduzione all’open government, al monitoraggio civico e al data journalism”. «Ovviamente – spiega Lanfrey – la nostra chiave di lettura non è andare a definire i comportamenti, ma fornire ai ragazzi gli strumenti, le cosiddette strategie comportamentali, per arrivare a fare le cose giuste». Essendo comunque il PON un bando progettuale, bisogna specificare che saranno le scuole a dover presentare progetti e svilupparli, «anche se noi nell’allegato tecnico siamo stati abbastanza chiari nelle tematiche che dovranno ricevere particolare attenzione ed essere sviluppate». Per accompagnare comunque gli istituti scolastici in questi percorsi, il Miur sta immaginando direzioni informative su cui potersi basare e progettando azioni formative per i docenti «perché non possiamo lasciarli da soli», specifica Lanfrey. “Curricoli digitali” è invece il secondo bando (da 5 milioni di euro), lanciato qualche mese fa e inserito nell’ambito del Piano nazionale per la scuola digitale (PNSD), che insieme a quello presente all’interno del PON, definisce la parte più importante di un percorso educativo su media literacy portato avanti del ministero dell’Istruzione. L’obiettivo, si legge nell’avviso pubblico, è “la realizzazione, a favore delle istituzioni scolastiche ed educative statali, di curricoli, ossia formati e strumenti innovativi, per lo sviluppo di competenze digitali, che siano in grado di accompagnare le attività curricolari di apprendimento degli studenti sui temi del digitale e dell’innovazione attraverso percorsi didattici fortemente innovativi”. Le proposte progettuali dovranno inoltre seguire precise aree tematiche, come: diritti in internet, educazione ai media (e ai social) e all’informazione, big e open data ed educazione alla lettura e alla scrittura in ambienti digitali. Lanfrey sottolinea infine che il Ministero ha riscontrato però difficoltà a trovare dei partner per sviluppare questi progetti: «per dire le università ci sono, ma non hanno percorsi strutturati pronti. Abbiamo comunque cercato di mandare un segnale a tutti i possibili soggetti in gioco, anche al mondo giornalistico».
Fonte: Valigia Blu - Autore: Angelo Romano e Andrea Zitelli
martedì 7 marzo 2017
Google a scuola: cerchi un faraone e compare una pornostar
Nei giorni scorsi accade che, in una scuola primaria del savonese, inavvertitamente un docente si colleghi dall'aula informatica insieme ai bambini per ricercare informazioni online relative al faraone Ramses e un bambino non si limiti a ciò che appare ai primi posti del motore di ricerca numero uno al mondo, ma scorrendo la pagina arrivi alla home page di una pornostar che da tempo pare abbia deciso di utilizzare questo nome come pseudonimo. Non che un faraone non destesse la loro curiosità ma i bambini ma molti di loro hanno deciso di proseguire l'esplorazione del Ramses sbagliato. Di ritorno a casa raccontano il fatto avvenuto ai genitori e da li esplode un caso rimproverando alla scuola di non aver preso le dovute contromisure (software protezione minori) a dovere per evitare che ciò accadesse. D'altro canto la dirigente scolastica si difende sostenendo di avere investito in soluzioni di protezione basate sul filtro dei contenuti oltreché degli URL e che nessuno poteva immaginare la presenza di una pornostar con quel nome che non era presente nei nomi inseriti in "blacklist". La maestra dal canto suo, pare non si fosse accorta di nulla.
Correva il 2008 quando, svolgendo attività formativa per conto di Microsoft nelle scuole (progetto La Scuola Ricomincia Navigando e poi Web in Cattedra) riportavo ai docenti l'esempio del caso "Julie Amero, vedi articolo dell'epoca su Punto Informatico. Un insegnante supplente in una scuola americana, dopo aver lasciato sguarnito il computer in classe con i suoi ragazzi, non ha potuto impedire che gli stessi vedessero le immagini pornografiche innescati da uno spyware in quanto i software non erano aggiornate né era presente una soluzione di antivirus efficace. La stessa poi dopo 3 anni è stata assolta ma ha dovuto difendersi rischiando il danno reputazionale oltreché la galera (40 anni di carcere, parliamo degli Stati Uniti).
Una matrice comune ai due casi è l'importanza da parte di ogni scuola primaria (e non solo...) l'importanza da un lato di fare tutto il possibile affinché i bambini non possano accedere a contenuti inadatti, inopportuni soprattutto in questa fascia di età. L'unico sistema realmente efficace resta sempre quello della "BIBLIOTECA DI CASA" (walled garden) che significa navigare solo ed esclusivamente sui siti scelti secondo un criterio prestabilito adatto all'età dei giovani navigatori. Per quel che riguarda la ricerca online probabilmente quanto accaduto alla scuola di Savona era evitabile impostando un motore di ricerca gestito con gli strumenti messi a disposizione di Google, http://www.ricerchemaestre.it/" all'interno del quale viene svolto un gran lavoro di scrematura da parte di docenti tecnologici preparati.
A parte questo fondamentale l'installazione di software antivirus centralizzato, software protezione minori, aggiornamenti di sistema e di tutto il software installato, formazione del personale docente su tematiche quali sicurezza e privacy, regolamenti/policy appositamente predisposte e aggiornati, unitamente a informative e liberatorie per i genitori.
Queste tematiche vengono da me affrontate durante gli incontri svolti in questo periodo per conto di G Data Italia nell'ambito del progetto "Cyberbullismo 0 in condotta" dove incontro genitori e ragazzi degli istituti comprensivi del Nord Italia.
Sulla mia pagina web il calendario dei miei prossimi incontri formativi su ragazzi, docenti e genitori.
lunedì 27 febbraio 2017
Sicurezza a scuola? Come nelle aziende… o quasi
Gestire la sicurezza di qualche decina di PC in mano a studenti medi e superiori non è una passeggiata. Ecco quali sono le strategie adottate dagli esperti per mantenere il controllo della situazione.
Di “rivoluzione digitale” a scuola sentiamo parlare da anni e, anche se con una certa lentezza, anche in Italia computer e tablet hanno fatto il loro ingresso nei vari istituti scolastici. Un ambiente in cui il tema della sicurezza ha profili particolari. Più ancora dell’integrità dei sistemi e del loro corretto funzionamento, infatti, all’interno degli istituti scolastici conta la protezione dei dati personali degli studenti e la loro tutela in quanto minori. Ma quali sono le necessità e le strategie per gestire la sicurezza informatica in un ambiente del genere? Giulio Vada, Country Manager per l’Italia di G DATA, non ha dubbi: gli strumenti necessari sono quelli con cui normalmente si proteggono le infrastrutture di una grande azienda.
“G DATA collabora con numerose scuole in Italia e nel mondo” spiega Vada, “e le soluzioni che offriamo sono derivate da quelle che utilizziamo per i nostri clienti corporate”. Lo scenario di chi deve gestire una rete di computer in un istituto scolastico, infatti è più complesso di quanto possa sembrare e l’uso di strumenti pensati per proteggere i dispositivi in un contesto “casalingo” sono insufficienti. Prima di tutto perché ci si trova ad avere a che fare con una situazione insolita: il numero degli utenti è superiore a quello delle postazioni e ogni computer viene utilizzato da un gran numero di persone diverse.
Per rendersene conto è sufficiente considerare i dati riportati in un caso studio pubblicato dalla stessa G DATA, riguardante il Colegio Retamar di Madrid. Nel prestigioso istituto spagnolo sono presenti circa 200 dispositivi, ma a utilizzarli sono ben 2.100 studenti e 150 insegnanti.A complicare le cose ci sono anche altri elementi. “Nella maggior parte dei casi non esiste un equivalente dell’IT Manager, il che significa che molto spesso la gestione dei sistemi è affidata a qualche volenteroso professore”.
In condizioni del genere, affidare la gestione della sicurezza a chi utilizza in prima persona il dispositivo è assolutamente impossibile. “L’unica strategia possibile è quella di centralizzare la gestione” prosegue Vada “in modo che i sistemi di protezione possano essere tenuti sotto controllo nonostante le particolari condizioni di utilizzo”.Insomma: un classico sistema di gestione degli endpoint che permette di avere una visione d’insieme della rete e del parco macchine, con un accento particolare sulla facilità d’uso, che deve essere sufficiente per consentirne l’utilizzo anche da parte di chi non ha conoscenze approfondite della materia.
Protezione dei minori
Gli strumenti necessari per garantire la sicurezza dei terminali, poi, devono avere caratteristiche specifiche. L’attività di controllo sulla navigazione Web, che nelle aziende è una semplice opzione, diventa per esempio indispensabile. E non solo per evitare che i ragazzi possano imbattersi in contenuti inappropriati, ma anche per evitare un utilizzo improprio dei computer e della rete.
“Tra gli studenti ci sono anche i classici “smanettoni” che potrebbero essere tentati di utilizzare i computer per compiere azioni illegali o dannose, come guardare film in streaming o scaricare contenuti protetti dal diritto d’autore” puntualizza Vada. Un discorso a parte è quello che riguarda il collegamento di dispositivi esterni, come gli smartphone o le chiavette USB. “Il software di protezione integra un sistema per impedire il collegamento di unità di memoria USB sconosciute. Considerato il numero di utenti, permettere di collegare qualsiasi chiavetta esporrebbe l’intera rete al concreto rischio di un’infezione da parte di malware”.
Senza contare che il parco macchine presenti in molti istituti scolastici non è precisamente “lo stato dell’arte”. Ci si trova spesso ad avere a che fare con macchine piuttosto datate, magari frutto di donazioni, e con sistemi operativi obsoleti (il solito Windows XP) per i quali il supporto da parte del produttore è cessato da tempo. Una situazione che potrebbe essere mitigata (almeno in parte) attraverso un sistema di patch management centralizzato. I costi, però, risultano spesso troppo elevati per i risicati budget delle scuole.
Oltre le tecnologie
Stando all’esperienza di Giulio Vada, gli accorgimenti tecnici e il tipo di prodotto usato per proteggere le reti all’interno delle scuole sono solo uno degli aspetti da considerare. “Una parte fondamentale del nostro lavoro è quello di collaborare con professori e studenti per migliorare l’alfabetizzazione in tema di sicurezza. Quando troviamo una buona disponibilità anche da parte dei genitori, che hanno un ruolo fondamentale sotto questo aspetto, riusciamo a ottenere ottimi risultati”. Un ragionamento che coinvolge anche la filosofia BYOD (Bring Your Own Device) particolarmente importante in un ambiente come quello degli istituti formativi. Un’esperienza in questo senso è stata fatta in Olanda.
Il caso di studio è quello della ROC Kop van Noord-Holland and Scholen aan Zee, che con 8 istituti e 6000 studenti rappresenta una sfida notevole in termini di sicurezza. Qui G Data ha implementato un sistema completo di protezione che comprende anche il controllo dei dispositivi mobili dei ragazzi, che hanno cominciato a utilizzare i sistemi di protezione anche a casa. Uno scenario ideale, che per diventare una pratica diffusa anche in Italia richiede però uno scatto in avanti per quanto riguarda la formazione di una cultura condivisa della sicurezza. Di strada da fare, insomma, nel nostro paese ce n’è ancora molta.
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