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domenica 22 ottobre 2017

Registrare un video hard e ritrovarsi per errore sul gruppo Whatsapp "genitori della classe"


Whatsapp, la piattaforma di comunicazione maggiormente utilizzata oggi al mondo (oltre 1 miliardo) e nel nostro Paese (oltre 22 milioni) è decisamente uno strumento potentissimo che, se utilizzato incautamente o con superficialità/distrazione può arrivare anche a rovinare la vita di una persona e della sua famiglia. Rifacendomi a un recente articolo apparso i giorni scorsi su La Nazione, una madre di famiglia dopo avere registrato un filmato hard, forse per la distrazione del momento, ha pensato "male" di condividerlo su questa piattaforma inoltrandolo al marito. Peccato che, anziché al giusto destinatario, dove sarebbe dovuto essere indirizzato, è finito nel gruppo genitori della classe del proprio figlio. Gruppo che se utilizzato bene, può essere molto utile nel passaggio di informazioni relative all'attività dei propri figli a scuola. Si dovrebbe aprire una parentesi anche su questo, visto l'abuso e l'utilizzo errato che molte volte i genitori fanno di questo gruppo, ma evitiamo e concentriamoci sulle dinamiche del fatto accaduto.
La mamma in questione ha ingenuamente condiviso con un gruppo di persone un video a luci rosse. E' bastato un click di conferma sul proprio smartphone per danneggiarsi, forse per sempre, la propria reputazione personale. Impossibile tornare indietro. Si possono trovare soluzioni legali per far eliminare i video da eventuali piattaforme web dove finirà, ma quel video è sufficiente che una persona al mondo l'abbia salvata sul proprio dispositivo che potrà sempre ripresentarsi. Per sua struttura ciò che si condivide su internet e i social media resta un tatuaggio indelebile. Si fa un gran parlare oggi di "diritto all'oblio" ma soluzioni tecniche realmente efficaci a tale scopo non esistono.
Nei miei incontri formativi all'interno della scuola italiana, rivolgendomi a bambini/ragazzi e genitori in particolare, cerco di trasferire concetti e informazioni fondamentali per evitare di fare un cattivo uso della tecnologia in ogni suo aspetto, PREVENENDO possibili problemi di natura psico-fisica piuttosto che di immagine o legale a seconda dei vari scenari e casi che si possono presentare. Partendo dal concetto che tutto ciò che finisce sul gruppo di whatsapp della classe è indelebile, non si torna indietro, consiglio di RIFLETTERE sempre prima di dare l'ultimo click di conferma all'immagine, video, commento che voglio inoltrare verificando sempre il destinatario dello stesso. I più gravi errori che oggi vengono commessi nell'utilizzo di questo mezzo potentissimo di comunicazione online sono questi: 

1. DISTRAZIONE:  direi la causa principale dei principali errori che involontariamente commettiamo quando siamo collegati è bene concentrarsi su quello che si sta facendo, accantonando temporaneamente le altre attività. Cosa difficile da farsi in un mondo in cui sempre più siamo multitasking. Usiamo lo smartphone per fare più cose contemporaneamente (leggiamo le notifiche sui vari social, controlliamo le email ricevute, fotografiamo un bel paesaggio e contemporaneamente controlliamo le notizie del giorno). Molte volte poi utilizziamo lo smartphone impropriamente, nei momenti sbagliati magari mentre stiamo svolgendo un'attività lavorativa o ci stiamo spostando su mezzi che stiamo guidando (capita spesso di vedere persone guardare lo smartphone mentre guidano auto/moto e adirittura pullman).

2. SUPERFICIALITA': troppo spesso si condivide all'interno delle Chat e dei Social contenuti falsi o errati senza approffondire. 

3. INGENUITA': ingenuamente si pensa che condividere un video o un immagine per gioco non sia un problema e nel contempo non possa danneggiare chi in quel video/immagine è presente. Riflettere sempre prima di dare l'ultimo click di conferma : quel contenuto, quell'immagine, quel video in qualche modo, in qualche natura può danneggiare me o altri ?

Importante poi fare attenzione alle APP che si installano (usare sempre Play store o altri canali certificati), nel caso non si abbia un iphone utilizzare una soluzione antivirus, installare un software VPN per la protezione dei dati trasmessi e ricevuti durante l'utilizzo tramite wifi.

Affrontando il problema da un punto di vista LEGALE, ho voluto porre alcuni quesiti all'Avv. Francesco Paolo Micozzi , legale di diritto penale, con particolare predilezione per il diritto dell’informatica e delle nuove tecnologie, privacy e diritto d’autore. Questo per consentire a tutti gli utenti della piattaforma iscritti a gruppi di persone di capire qual'è il modo di agire in casi analoghi a questo. 

Avv. Micozzi, nel caso di ricezione eventuali contenuti, video, immagini di natura strettamente personale, per i quali si palesi chiaramente un errore di spedizione commesso dal mittente del messaggio, può esserne considerata lecita la condivisione a soggetti terzi non facenti parte di quello specifico gruppo/pagina ?

R: In questi casi la regola generale è, per il mittente, prestare particolare attenzione a ciò che si condivide e, per il destinatario, usare un minimo di accortezza e discrezione e, quindi, non inoltrare ad altri il messaggio soprattutto nel caso in cui ci si accorga dell’errore commesso dall’originario mittente. Difficilmente potrebbe configurarsi, in queste ipotesi, una delle fattispecie di cui agli artt. 616 o 617 c.p. in quanto sarebbe necessario che chi prende cognizione del messaggio o lo comunichi ad altri soggetti, non sia il destinatario dello stesso. E’ bene evidenziare, inoltre, che qualora il contenuto del messaggio sia rappresentato da immagini o video di natura pedopornografica (ossia materiale pornografico realizzato utilizzando minori di anni diciotto), il destinatario del messaggio rischierebbe la incriminazione per il reato di detenzione di materiale pedopornografico qualora si limiti a conservare consapevolmente tali contenuti, mentre si potrebbe ipotizzare il reato di cui all’art. 600-ter c.p. qualora comunichi gli stessi contenuti anche ad altri soggetti.

Nel caso di ricezione di un qualunque contenuto, immagine, video che in qualche modo danneggi palesemente il mittente dello stesso, qual'è l'iter che il soggetto ricevente dovrebbe eseguire a tutela Sua e del mittente ?  (cancellazione immediata del contenuto, comunicazione al mittente dell'avvenuto errore, denuncia all'autorità giudiziaria).

R: Anche in questo caso valgono le considerazioni già fatte in precedenza. Non vi è una regola generalmente applicabile. Tuttavia, qualora la semplice detenzione del contenuto rappresenti un’attività illecita, sarebbe opportuno rivolgersi ad un legale di fiducia che potrà consigliare le più idonee misure da adottare. In genere si consiglia di rimuovere il contenuto e di segnalare il fatto all’autorità giudiziaria.

Uscendo leggermente dal seminato, nel caso in cui si tratti di gruppi chiusi della classe o analoghi riferite primariamente ai ragazzi, nel caso un genitore abbia modo di verificare sul cellulare del proprio figlio minorenne irregolarità da parte di altri ragazzi all'interno della chat di gruppo (ad esempio episodi di cyberbullismo nei confronti di un loro coetaneo o prese in giro nei confronti dei docenti mediante riprese non autorizzate a scuola) lo stesso è autorizzato, prove alla mano, a farne denuncia al dirigente scolastico e/o all'autorità giudiziaria?

R: In base alla legge contro il cyberbullismo, entrata in vigore lo scorso 18 giugno, sarà possibile attivare una serie di strumenti per rimuovere i contenuti online o per far cessare l’attività di cyberbullismo (art. 2, L. 71/2017). Il genitore avrà, quindi, sia la possibilità di chiedere e ottenere la rimozione dei contenuti, sia la possibilità di rivolgersi all’autorità giudiziaria nel caso in cui i comportamenti del cyberbullo ultraquattordicenne integrino delle fattispecie di reato. E’ prevista, in tali casi, anche la possibilità di attivare la procedura di ammonimento (art. 7, L. 71/2017), un istituto nato nel 2009 che ha la finalità di bloccare eventuali attività di stalking.

Riprendere un soggetto terzo a sua insaputa, mediante uno scatto fotografico o una ripresa video effettuata in un luogo pubblico e postarla all'interno di un gruppo di Whatsapp viola le leggi in vigore ?

RSe il luogo è pubblico in genere il comportamento non è illecito se questo scatto viene condiviso tra un numero limitato di soggetti che utilizzino questi contenuti per finalità personali. Per quanto riguarda la diffusione, invece, dell’immagine sarà necessario ottenere il consenso del soggetto. Però bisogna valutare da un lato se il soggetto ripreso sia o no un personaggio pubblico e, dall’altro, si dovrà valutare il significato trasmesso dallo scatto o dal video. Occorre, in sostanza, valutare caso per caso.

Per quel che riguarda l'utilizzo dei social media da parte dei ragazzi, sempre nell'ottica della prevenzione, ritiene corretto mettere in grado i genitori di poter monitorare/controllare in qualunque momento l'attività dei figli all'interno dei nuovi social media?

R: Qui siamo nell’ambito della “opportunità”. I ragazzi percepirebbero questo “controllo”, da parte dei genitori, sui contenuti da loro diffusi, come un atto di diffidenza (a maggior ragione quando il “monitoraggio” riguardi contenuti non diffusi online ma custoditi all’interno di un device). E’ per questo che è molto importante l’aspetto preventivo. E una corretta prevenzione non è possibile senza che gli operatori della scuola o i genitori stessi non abbiano un minimo di competenze tecniche sugli strumenti utilizzati dai ragazzi.

Consiglio finale: il BUON SENSO resta sempre la principale REGOLA che ognuno di noi dovrebbe seguire. Ragionare e riflettere sempre prima di agire. Infine informarsi e aggiornarsi, essere consapevoli su cosa occorre fare per prevenire ed evitare di cadere in un BANALE errore che può esserci FATALE.

domenica 2 aprile 2017

Ventimiglia, presso il Liceo Aprosio incontro conclusivo del progetto bullismo e cyberbullismo

Voluto dal dirigente scolastico Giuseppe Monticone e dalle docenti di diritto Gabriella Briozzo, Diana Meduri e Patrizia Sambuco
incontro liceo ventimiglia

Ventimiglia. E’ giunto a termine presso il Liceo Statale Aprosio di Ventimiglia un intenso ed interessante percorso formativo in tema di bullismo e cyberbullismo, fortemente voluto dal dirigente scolastico profGiuseppe Monticone e dalle docenti di diritto professoresse Gabriella BriozzoDiana Meduri e Patrizia Sambuco, realizzato nel contesto dei progetti alla legalità predisposti per l’anno scolastico 2016/17.
Tale percorso dedicato a tutte le classi prime del Liceo, ha avuto inizio da incontri che le docenti di diritto hanno realizzato nelle singole classi, mediante la proiezione di slides e di video a tema e mediante specifica attività di responsabilizzazione degli studenti circa le eventuali conseguenze giuridiche civili e penali, derivanti da comportamenti rientranti nell’alveo del diffuso fenomento del bullismo ed in particolare del cyberbullismo.
La risposta degli alunni a tali incontri è stata subito positiva, tanto da motivare ancor più le docenti e la dirigenza scolastica a dedicare maggior tempo all’argomento e maggiore attenzione al dilagante e tanto attuale fenomeno del cyberbullismo e dei pericoli che si insidiano nella rete, coinvolgendo altresì figure professionali competenti sia sotto il profilo tecnico informatico che socio psicologico. In tale ottica, quindi, mercoledì 29 marzo 2017 il Liceo Aprosio ha aperto il suo auditorium all’esperto informatico dottor Mauro Ozenda e alla dottoressa Guendalina Donà che, dopo l’introduzione da parte del vice preside prof. Giovanni Perotto, attraverso le loro specifiche competenze, hanno dato il loro consistente contributo nel fornire agli alunni coinvolti un quadro più completo degli strumenti necessari per combattere e cercare di arginare gli atteggiamenti fonte di atti di bullismo e cyberbullismo.
Il dottor Mauro Ozenda, da anni affermato esperto informatico sia a livello regionale che nazionale, nonché formatore di genitori e docenti e da tempo presente nelle scuole per incontri con gli studenti, ha affrontato con puntualità e specificità tutte le possibili implicazioni legate all’uso di internet, social network e applicazioni in rete, fornendo ai ragazzi tutte le informazioni necessarie per il corretto, legale, sano e consapevole uso di internet.
La dottoressa Guendalina Donà, psicologa psicoterapeuta da tempo promotrice di progetti in ambito scolastico attraverso lo sportello di ascolto dell’associazione Zonta4youha, invece, ha coinvolto i ragazzi in una ampia riflessione circa i condizionamenti mentali derivanti dai contesti, soprattutto familiari, vissuti dall’età della pubertà all’adolescenza e della loro influenza sulle scelte comportamentali future tali da determinarne una possibile devianza verso atteggiamenti aggressivi, persecutori e prevaricatori.
L’evento, al quale gli studenti hanno partecipato con particolare interesse ed interagendo con i relatori, si è concluso con le seguenti riflessioni personali da parte degli alunni: “Dopo questo incontro abbiamo capito i veri pericoli che nasconde la rete, quindi, da adesso in poi, prima di postare un qualsiasi contenuto, ci penseremo due volte. Dietro un comportamento c’è sempre una ragione ma questo non è un valido motivo per scagliare le proprie sfrustrazioni sugli altri”.

Fonte: Riviera 24

domenica 26 marzo 2017

Adolescenti iperconnessi. Like addiction, Vamping e Challenge sono le nuove patologie

Smartphone e internet: qual è l’impatto nella vita dei ragazzi?

Il 98% dei ragazzi tra i 14 e i 19 anni possiede uno smartphone personale a partire dai 10 anni d’età. Più i ragazzi sono piccoli, più hanno avuto precocemente tra le mani i vari strumenti tecnologici.
Il dato rilevante è che oltre 3 adolescenti su 10 hanno avuto modo di utilizzare uno smartphone direttamente nella primissima infanzia, già a partire da 1 anno e mezzo/2, con la possibilità anche di accedere liberamente ad internet e alle applicazioni presenti nel telefono. Il genitore si sente tranquillo se il figlio utilizza il proprio cellulare pensando che non usi tutte le sue funzioni o vada su Internet dimenticandosi che è tutto collegato alla rete, anche le chat. Con il trascorrere degli anni e l’evolversi della tecnologia si abbassa quindi vertiginosamente l’età di utilizzo. Tra i ragazzi della fascia tra gli 11 e i 13 anni, infatti, l’età media è scesa di un anno sia per quanto riguarda l’uso del primo cellulare, l’accesso a internet e l’apertura del primo profilo social, che si aggira intorno ai 9 anni.
Gli adolescenti quindi sono sempre più iperconnessi, circa 5 su 10 dichiarano di trascorrere dalle 3 alle 6 ore extrascolastiche con lo smartphone in mano, il 16% dalle 7 alle 10 ore, mentre il 10% supera abbondantemente la soglia delle 10 ore. Se calcoliamo che il 63% lo utilizza anche a scuola durante le lezioni, significa che la maggior parte di loro vive connesso alla rete.
Le ore trascorse davanti ad uno schermo si abbassano leggermente nel campione dagli 11 ai 13 anni, forse perché c’è più controllo da parte dei genitori e l’importanza della rete social non è ancora la più rilevante. Il 55% dei preadolescenti lo utilizza per un massimo di 2 ore, il 35% dalle 3 alle 6 ore, il 7% dalle 7 alle 10 ore e il 4% supera le 10 ore, e solo il 13% lo usa durante l’orario scolastico, rispetto al 63% dei ragazzi più grandi che non si possono staccare dal cellulare.
Il 95% degli adolescenti ha almeno un profilo sui social network, contro il 77% dei preadolescenti. Il primo è stato aperto intorno ai 12 anni e la maggior parte di loro arriva a gestire in parallelo 5-6 profili, insieme a 2-3 app di messaggistica istantanea. Il 69% ha un profilo su Facebook, il 67% Instagram, il 66% YouTube, il 47% Snapchat, il 22% Ask, il 16% Twitter, e il 15% Tumblr. Il fatto di avere una serie di applicazioni social sconosciute ai genitori gli permette di essere meno controllati e più sicuri di poter anche osare, favorendo comportamenti come il sextingcyberbullismo e diffusione di materiale privato in rete.
Uno dei dati più allarmanti è che il 14% degli adolescenti ha anche un profilo finto, che nessuno conosce o che conoscono solo in pochi, risultando quindi non controllabile dai genitori e nel contempo facile preda della rete del grooming (adescamento di minori online), dato in rilevante aumento rispetto all’11% dello scorso anno.

Whatsapp: la chat insostituibile

I ragazzi trascorrono la maggior parte del loro tempo sulle chat, 6 adolescenti su 10 dichiarano di non poter più fare a meno di WhatsApp, confermandosi l’app più amata tra gli adolescenti visto che il 99% lo utilizza ogni giorno, il 93% si scambia i compiti attraverso il gruppo-classe e il 70% chatta in maniera compulsiva. Per quanto riguarda i preadolescenti, invece, il 96% utilizza WhatsApp, di cui la metà per chattare in maniera sistematica e ripetitiva, l’82% ha il gruppo-classe per scambiarsi i compiti mentre il 40% per condividere i selfie con gli amici.

Le notti insonni degli adolescenti vampiri tra social network e chat: il fenomeno del Vamping

Il Vamping, ossia la moda degli adolescenti di trascorrere numerose ore notturne sui social media, sembra diventata una vera e propria abitudine, tanto che 6 adolescenti su 10 dichiarano di rimanere spesso svegli fino all’alba a chattare, parlare e giocare con gli amici o con la/il fidanzata/o, rispetto ai 4 su 10 nella fascia dei preadolescenti.
La tendenza, invece che accomuna tutti i ragazzi è di tenere a portata di mano il telefono quasi tutto il giorno, notte compresa, fino al 15% che si sveglia quasi tutte le notti per leggere le notifiche e i messaggi che gli arrivano per non essere tagliati fuori, altra patologia emergente legata all’abuso dello smartphone (FOMO – Fear of Missing Out). Questi comportamenti vanno ad influenzare negativamente la qualità e la quantità del sonno, con conseguenze nocive per l’organismo e vanno ad interferire sulle attività quotidiane dei ragazzi, fino a determinare importanti difficoltà di concentrazione e di attenzione che gravano sul rendimento scolastico, favoriscono l’insorgenza di stati ansiosi, intaccando  l’umore e gli impulsi.

Adolescenti alla continua ricerca di approvazione: la likemania e la followermania

Ormai da alcuni anni sembra che si sia completamente annullato il concetto di intimità, infatti per circa 5 adolescenti su 10 è normale condividere tutto quello che fanno, comprese foto personali e private, mettendo tutto in vetrina, sottoponendolo alla severa valutazione della macchina dei “mi piace” o dei “non mi piace”. Infatti, per oltre 3 adolescenti su 10 è importante il numero dei like ricevuti: tanti like e tante approvazioni accrescono l’autostima, la popolarità e quindi la sicurezza personale. Ovviamente, vale anche il contrario, ovvero commenti dispregiativi e pochi like condizionano l’umore e l’autostima in negativo, tanto che il 34% ci rimane molto male e si arrabbia quando non si sente apprezzato.

Adolescenti terrorizzati che si possa scaricare il cellulare: la Nomofobia

La Nomofobia, da No-mobile-phone, è la nuova fobia legata all’eccessiva paura/terrore di rimanere senza telefono o senza connessione ad internet o al 4G: quasi 8 adolescenti su 10 hanno paura che si scarichi il cellulare o che non gli prenda quando sono fuori casa (un dato in forte crescita se si pensa che fino allo scorso anno interessava il 64% degli adolescenti) e tale condizione, nel 46% dei casi genera ansia, rabbia e fastidio.
Questo fenomeno è meno diffuso tra i più piccoli che si fermano ancora al 60% e solo il 32% sperimenta alti livelli di ansia e preoccupazione.

Il bisogno di apparire ad ogni costo

L’aspetto che caratterizza gli adolescenti di oggi sono i selfie, i famosi autoscatti, dove si è disposti a tutto pur di ottenere like, ad esempio il 13% ha seguito addirittura una dieta per piacersi di più nei selfie. È indubbio ormai che le vetrine dei social pennellino il narcisismo degli adolescenti. I ragazzi della fascia 14-19 mediamente ne fanno circa 5 al giorno, con punte massime di 100, contro i 2 selfie al giorno dei più piccoli che preferiscono utilizzare maggiormente i video e i messaggi audio.
Circa 2 adolescenti su 10 condividono tutti i selfie che fanno sui social network e su WhatsApp, andando a ledere completamente il concetto di privacy e di intimità che ormai si è trasformata in un’intimità condivisaQuesto dato è in cresciuto rispetto al 2015 dove il problema riguardava il 15%.
Il dato più grave e allarmante è che circa 1 adolescente su 10 fa selfie pericolosi in cui mette anche a repentaglio la propria vita e oltre il 12% è stato sfidato a fare un selfie estremo per dimostrare il proprio coraggio.

Challenge o sfide social che favoriscono i disturbi alimentari e l’abuso di alcol

Le Challenge o Sfide Social sono uno dei problemi del momento e racchiudono tutte quelle catene che nascono sui social network in cui si viene nominati o chiamati a partecipare da altri attraverso un tag. Lo scopo in genere è di postare un video o un’immagine richiesta, per poi nominare altre persone a fare altrettanto, diffondendosi a macchia d’olio nel Web, anche nell’arco di poche ore.
2 adolescenti su 10 hanno partecipato ad una moda a catena sui social e il 50% ha avuto una nomination.
Circa 1 adolescente su 10 ha preso parte ad una catena alcolica sui social network, con la finalità in genere di bere ingenti quantità di alcol in pochissimo tempo e nei luoghi o posizioni più improbabili, altri hanno fatto selfie mentre vomitavano o in condizioni vicine all’intossicazione alcolica.
A queste si aggiungono le mode in cui il corpo e la magrezza hanno un ruolo centrale, a cui aderiscono 5 ragazze su 100, favorendo lo sviluppo di patologie nella sfera alimentare. Le mode più conosciute legate all’ispirazione al magro sono: Thigh Gap (arco tra le gambe), Bikini Bridge (ponte nel costume da bagno sulla pancia), Sfida della clavicolaBelly Slot (fessura nella pancia) e Belly Button (far girare il braccio dietro la schiena fino a toccarsi l’ombelico).
Fonte: Adolescienza - dati Osservatorio Nazionale Adolescenza - dott.ssa Maura Manca

martedì 27 settembre 2016

Facebook usa i dati di Whatsapp: il Garante per la privacy apre un’istruttoria

La condivisione dei contatti tra l’app di messaggistica e il social network è sotto accusa in Italia e in Europa. In Germania intanto il commissario per la protezione dei dati e della libertà d’informazione di Amburgo blocca il trasferimento di informazioni

Alla fine di agosto 2016, a due anni e mezzo dall’acquisizione da parte di Facebook, Whatsapp ha annunciato che avrebbe avviato la condivisione dei dati dei propri utenti con il social network. L’operazione è descritta nella nuove regole sulla privacy dell’app di messaggistica che gli utenti devono accettare prima di usare il servizio. Chi non vuole condividere i dati può disattivare un’opzione dalle impostazioni dell’app, ma per farlo hanno solo trenta giorni di tempo dall’accettazione dei nuovi termini.

LE DOMANDE DELL’ITALIA  
Ma ora il Garante per la protezione dei dati personali ha avviato un’istruttoria a seguito della modifica della privacy policy effettuata da WhatsApp a fine agosto che prevede la messa a disposizione di Facebook di alcune informazioni riguardanti gli account dei singoli utenti di WhatsApp, anche per finalità di marketing.
Il Garante ha invitato WhatsApp e Facebook a fornire tutti gli elementi utili alla valutazione del caso e ha chiesto inoltre di chiarire se i dati riferiti agli utenti di WhatsApp, ma non di Facebook, siano anch’essi comunicati alla società di Menlo Park, e di fornire elementi riguardo al rispetto del principio di finalità, considerato che nell’informativa originariamente resa agli utenti WhatsApp non faceva alcun riferimento alla finalità di marketing.

In particolare ha chiesto di conoscere nel dettaglio: la tipologia di dati che WhtasApp intende mettere a disposizione di Facebook; le modalità per la acquisizione del consenso da parte degli utenti alla comunicazione dei dati; le misure per garantire l’esercizio dei diritti riconosciuti dalla normativa italiana sulla privacy, considerato che dall’avviso inviato sui singoli apparecchi la revoca del consenso e il diritto di opposizione sembrano poter essere esercitati in un arco di tempo limitato. Analoghe questioni sono state sollevate dal Commissario Europeo alla Concorrenza Margrethe Vestager .

«Occorre ricordare che lo scambio di indirizzari non può avvenire senza il consenso degli interessati», osserva il Garante per la privacy Antonello Soro. «A un primo esame, nelle nuove regole adottate da WhatsApp, sembrerebbe non essere previsto un consenso differenziato per le diverse opzioni e che gli utenti siano di fatto costretti ad accettare in blocco le condizioni che prevedono lo scambio dei dati. Le criticità già rilevate in passato vengono in questo modo moltiplicate. Vedremo adesso se Facebook e WhatsApp decideranno, responsabilmente e autonomamente, di sospendere questa iniziativa a garanzia degli utenti». Gli fa eco una breve nota del social network: «WhatsApp è conforme alla legge sulla protezione dei dati dell’UE. Lavoreremo con il Garante della Privacy italiano nel tentativo di rispondere alle loro domande e di risolvere eventuali problemi».

LO STOP TEDESCO  
La prima reazione ufficiale alle nuove regole di Whatsapp era arrivata ieri dalla Germania. Dopo le critiche degli attivisti per la difesa della privacy, oggi il commissario per la protezione dei dati e della libertà d’informazione di Amburgo, uno degli omologhi tedeschi del garante della privacy italiano, ha ordinato il blocco totale dell’acquisizione dei dati degli utenti Whatsapp tedeschi da parte di Facebook. «Questa ordinanza amministrativa protegge i dati di circa 35 milioni di utenti di Whatsapp in Germania», ha dichiarato il garante, Dr. Johannes Caspar. «La connessione dei propri account con Facebook deve essere una loro decisione. Per questo Facebook deve chiedere il loro permesso in anticipo. E questo non è avvenuto».

A rischio non sarebbero solo i dati degli utenti Whatsapp, spiega ancora Caspar, ma anche quelli dei contatti presenti nelle rubriche, soggetti che non hanno mai acconsentito al trattamento delle proprie informazioni da parte di nessuna delle due aziende. La raccolta dei dati di Whatsapp da parte di Facebook, spiega ancora il garante nella nota stampa con cui ha annunciato il provvedimento, avviene insomma in violazione delle leggi tedesche.

Una simile azione di scambio dati, infatti, sarebbe consentita solo se entrambe le aziende (sia quella che offre le informazioni dei propri utenti, sia quella che beneficia della raccolta) avessero chiesto il permesso degli utenti. A oggi, si legge ancora nel documento ufficiale, Facebook non ha ottenuto esplicito consenso per l’acquisizione e la gestione dei dati sensibili della base d’utenza di Whatsapp, né esiste alcuna base legale per giustificare l’intera operazione.
Il garante della privacy di Amburgo è l’autorità competente nel caso specifico perché il social network opera in Germania tramite Facebook Deutschland Gmbh, una controllata che ha sede nella città anseatica e si occupa delle operazioni e del marketing del social network nei mercati di lingua tedesca.

UNA QUESTIONE EUROPEA  
Facebook sostiene normalmente di gestire i dati degli utenti europei tramite la propria controllata in Irlanda. Tuttavia in questo caso l’azienda non potrà pretendere di essersi attenuta alle leggi irlandesi sulla gestione dei dati sensibili. Una recente sentenza della Corte di Giustizia Europea, infatti, ha determinato che le leggi nazionali sulla protezione dei dati si applicano pure a soggetti globali che operino in uno specifico mercato europeo tramite un’azienda con sede nel paese, anche qualora la filiale si occupi solo di aspetti operativi e non fiscali.

Sulla base dell’ordinanza, Facebook in Germania non solo è obbligata a non proseguire la raccolta dei dati, ma dovrà anche provvedere a distruggere gli eventuali dati già condivisi da Whatsapp. In realtà, secondo quanto confermato dall’azienda al garante, a oggi non è ancora avvenuta alcuna acquisizione fisica dei dati contestati.

Fonte: La Stampa - Autore: Nepori / Ruffilli

venerdì 23 settembre 2016

Non è la rete ad essere cattiva

Opera di Ian Cheng
È in corso da mesi un attacco alla rete che manifesta picchi assai evidenti in concomitanza con tragici fatti di cronaca nera. Si allestiscono allora, in tutta fretta, trasmissioni ad hoc sull’“Internet assassina”. Si vergano con cura raffinati editoriali sui “social che uccidono” e sulla “morte che corre nei gruppi di WhatsApp”. Si reclamano a gran voce norme più stringenti contro i bulli, i pedofili, gli stalker, i maniaci e i terroristi, e si glorifica la censura. Si rimpiange pubblicamente la vita in campagna (ovviamente disconnessa). Le forze dell’ordine consigliano di controllare ogni sera i telefonini dei figli, subito dopo il bacio della buonanotte. E il tutto per giungere alla prevedibile conclusione che, alla fine, se proprio vogliamo essere onesti, Internet, nel mondo moderno, non è che sia poi così importante. Anzi, si potrebbe anche chiudere: ha portato solo pornografia, odio e una violenza verbale ormai fuori controllo. 
In un simile assalto alla carovana digitale, i primi a essere felici sono i politici, che non vedono l’ora di regolamentare un ambiente che in realtà (ma non lo ammetteranno mai) non è più quel “Far West giuridico” cui si appellavano negli anni Novanta e che, ormai, è iper-regolamentato. Quasi sempre iper-regolamentato male. 

Non è tutto: in questo ambiente sotto attacco, il diritto sembra non bastare più. Il codice penale è troppo poco. Le garanzie del processo e del sistema giudiziario non sono più sufficienti e, chiaramente, sono molto più lente dello scorrere incessante dei dati digitali. Sarebbe allora opportuno rispolverare la gogna, e rispondere con gli stessi mezzi (e gli stessi toni) a chi semina odio. Per poi, però, recitare, a cadenza regolare, un collettivo mea culpa (per il peccato del clickbaiting) e poi, poco dopo, ricominciare tranquillamente come prima. 
I giudici più influenti, che sono anche gli esecutori della pena (come un nuovo Giudice Dredd digitale), sono oggi coloro che hanno più seguaci, più lettori, più follower, più fan. Hanno potere di vita e di morte. Possono far perdere il lavoro in un attimo, esporre al pubblico ludibrio, magari portare al suicidio. Con un tweet o uno status.

L’attacco in corso si basa su una tecnica molto semplice: il confondere i piani e le priorità. Il mettere a fuoco il dito, e non osservare la luna. 
Il problema non è più uno stupro, o un suicidio, o la mancanza di solidarietà femminile, o l’odio “reale” tra ragazze, o la perversione nel provare piacere vedendo una persona soffrire, o il non reagire in presenza di una situazione degradante e umiliante per altri. No: il problema è il video che circola sui social e che riprende quella scena, la rete che amplifica e non dimentica, la testimonianza ormai incontrollabile del fatto. Non è più un problema di comportamento delle persone (luna), ma è colpa della rete e dei social (dito). Se un bullo dodicenne aggredisce e riprende un coetaneo disabile, il problema non è di educazione e di civiltà ma del video che circola su YouTube e, quindi, di urgenza di regolamentazione della rete e delle piattaforme tutte.
Sono due, in sintesi, i motivi per cui questo attacco è portato oggi con una simile veemenza. 
Il primo è per evitare di affrontare i veri problemi. 
Tutti sono ormai consapevoli della capacità della rete di amplificare il danno, di diffondere su larga scala il pensiero dell’uomo, di far “rimbalzare” le parole, anche le peggiori, ai quattro angoli del mondo. Ma non tutti comprendono come non vi sia neppure lontanamente paragone tra i lati positivi della rete (quanto ha cambiato nell’economia dell’umanità degli ultimi decenni, e il bene che ha portato) e i suoi lati negativi. Lati negativi che, sia chiaro, si trascina dietro proprio come se li trascina dietro ogni ambiente sociale. 
Si tratta, quindi, di un bersaglio facile e suggestivo, soprattutto per chi non la conosce a fondo, ma è un bersaglio facile come lo sarebbero oggi molti genitori, o molti direttori di giornali e giornalisti, o molti politici, o molti educatori. Ci si dimentica che tutta la società, tutto il diritto, tutte le relazioni sociali stanno diventando, oggi, digitali. 

Molto più difficile, a mio avviso, è comprendere e ragionare sullo stato della cultura e della civiltà di chi usa Internet, Twitter e i social network, magari partendo da chi ha una posizione “di garanzia”, in base alla quale dovrebbe dare il buon esempio: si pensi ai politici, ai media, ai genitori. Questi sono temi, però, che è meglio evitare. Molto meglio affibbiare responsabilità alla rete e ai social. 
Eppure, se riflettiamo un attimo, i problemi del bullismo (è in aumento anche quello femminile), della mancanza di educazione, di civiltà e di rispetto altrui nei rapporti e nei dialoghi, della diffusione di toni esasperati mantenuti per ottenere più voti, più lettori o più click, della crisi generalizzata di molti valori, dovrebbero essere risolti ben prima di attaccare la rete, anche perché la rete e i social sono lo specchio delle nostre vite e delle nostre civiltà. Non esistono rete e social quali entità indipendenti dalla nostra cultura, dai nostri valori, dalla nostra civiltà. Sono ormai inscindibili. Questo è forse il motivo per cui non amo sentir parlare di “cultura digitale”, di “rispetto online” o di “educazione informatica”. Cultura, rispetto ed educazione sono gli stessi online e offline. 

Il secondo motivo per cui questo attacco alla rete è in corso è un palese tentativo di controllo: una rete così libera, inarrestabile, dinamica e potente dà fastidio a molti. 
La scusa per il controllo è il sostenere che il male portato dalla rete sia superiore al bene, che il livello di criminalità informatica sia ormai al limite, che la rete sia popolata solamente di bulli, pedofili, stalker, maniaci, terroristi e truffatori. E allora si cercano nuovi reati, o si prospettano nuove aggravanti per far sì che, se è coinvolta la rete, la sanzione debba essere ancora più dura. 
Del resto, la crisi delle norme che, da almeno un ventennio, hanno in Italia un approccio liberticida nei confronti del digitale sono, in realtà, l’evidenza più chiara della crisi dei valori della politica. L’incomprensione che una rete libera, aperta, trasparente è più portata a condurre con sé benefici rispetto a una rete criminalizzata e chiusa, continua a condizionare tutte le norme proposte, compreso il tanto discusso disegno di legge sul cyberbullismo, in approvazione proprio in questi giorni, ricco di aspetti liberticidi.

Tutti siamo consapevoli, ormai, di quale sia il grande potere della rete in contesti tragici (meglio: in ogni contesto). L’amplificazione del danno, facendo circolare le informazioni con modalità così rapide e diffuse che l’umanità non ha mai sperimentato prima, e la persistenza del dato, con un oblio tecnicamente inesistente e l’impossibilità di rincorrere e recuperare l’informazione dopo che la stessa abbia iniziato a circolare. 
Queste due caratteristiche, però, non sono solo aspetti negativi: sono aspetti che richiedono una maggiore cautela non appena si entra in questo ambiente. A contrario, l’indicare la rete e i social come la causa di questi avvenimenti, come tecnologie generatrici di odio o di violenza, altro non fa che allontanare l’attenzione dai problemi veri, e dalla possibilità di risolverli realmente. 

La verità è che risolverli, spesso, non conviene. Non importa. Il risolverli non porta audience, né profitti o click. Il risolverli richiederebbe un dialogo pacato, tanta pazienza, una incrollabile fiducia nel diritto e nel sistema giuridico esistente, oltre a tanta cultura, civiltà e rispetto non solo dell’altro, ma anche dell’ambiente digitale e di un ecosistema tra i più delicati esistenti. 
Tutti questi elementi, peraltro, troverebbero nel mondo digitale, per com’è stato costituito, il veicolo migliore per circolare, e il mezzo ideale per portare effetti benefici alla società tutta.


venerdì 22 aprile 2016

Doppia bufala su Whatsapp tra referendum sulla legittima difesa ed iPhone 6S svenduti

Analizziamo da vicino quali sono le falsità che in questo periodo girano con la popolare applicazione di messaggistica

Periodo piuttosto intenso per tutti coloro che utilizzano costantemente Whatsapp, visto che da un po’ di giorni a questa parte stanno girando alcune “bufale” attraverso la nota piattaforma di messaggistica istantanea che vanno analizzate con attenzione. Una vi porterà a perdere solo del tempo nel caso in cui siate interessati alla fantomatica notizia (e magari a fare una brutta figura), l’altra potrebbe esporre pericolosamente i vostri dati sensibili.  Andiamo con ordine ed analizziamo separatamente i due casi. Da un lato alcuni utenti segnalano di aver ricevuto su Whatsapp un messaggio da un numero non presente in rubrica (già il binomio offerta+mittente non conosciuto dovrebbe indurre a riflessioni), in cui si comunica la disponibilità su Amazon di diverse centinaia di iPhone 6S a prezzi da capogiro a causa di problemi di imballaggio non specificati. Secondo quanto trapelato, in realtà gli utenti atterrano su un sito chiamato “Avazon” e come potrete immaginare non tutti riescono ad accorgersene in tempo. 
La truffa, in questo caso, dovrebbe limitarsi al “furto” di dati sensibili, ma occhio anche alla questione delle carte di credito, essendo l’intera questione legata ad elementi commerciali. Insomma, cercate sempre di evitare di accedere a qualsiasi link proveniente da mittenti non sicuri ed anche quando lo sono fate tutte le valutazioni del caso.

Fonte: Optimaitalia - Autore:  Paquale Funelli