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giovedì 3 marzo 2016

Apple e Fbi, un errore del Bureau causa del blocco totale dell'Iphone di San Bernardino



È STATO il tentativo di forzare l'accesso all'iPhone 5C di Syed Farook, l'uomo responsabile insieme alla moglie Tashfeen Malik della strage di San Berardino dove lo scorso 2 dicembre vennero uccise 14 persone, a chiudere per sempre ogni accesso alle preziose informazioni che ora l'Fbi vorrebbe ottenere con l'aiuto di Apple. Lo ha ammesso - racconta il New York Times - lo stesso direttore dell'agenzia federale James B. Comey Jr. nel corso di un'audizione martedì davanti al Judiciary Committee, la commissione giustizia del Congresso, parte della battaglia legale per convincere Apple a sbloccare l'iPhone. Cupertino in realtà aveva accusato fin dal primo momento l'Fbi di aver agito con un eccesso di "impulsività": avendo ordinato 24 ore dopo l'attentato ai tecnici del Dipartimento di Salute pubblica di San Bernardino - datori di lavoro di Farook e proprietari dell'iPhone - di cambiare la password di iCloud (l'archivio online relativo a quell'account e a quello smartphone) per avere accesso ai dati sensibili dell'attentatore, dalle ultime telefonate ai percorsi registrati dal gps. La mossa, ha però ammesso per la prima volta il capo dell'Fbi, è stata particolarmente infelice: visto che ha ottenuto l'effetto opposto, bloccando definitivamente ogni accesso alle informazioni del cellulare, che aveva fatto il suo ultimo backup il 15 ottobre, un mese e mezzo prima dell'attentato.

E pensare che le preziose informazioni potevano essere recuperate semplicemente portando il cellulare nei pressi di un wifi a lui noto, come quello della casa del terrorista, per ottenere un back up automatico che sarebbe stato più facilmente accessibile senza bisogno di forzare il telefonino che invece si è chiuso su sé stesso a causa dei troppi tentativi d'accesso. Intanto, mentre si attende la decisione del Congresso, la controversa questione approda oltreoceano. Lo racconta Li Yuan, editorialista tecnologico del Wall Street Journal, sulla sua rubrica China Circuit: il rifiuto di Apple di sbloccare l'iPhone5 di San Bernardino assume infatti una particolare rilevanza se osservata dal punto di vista di Pechino.

Che cosa succederebbe, infatti, se fosse il governo cinese a chiedere lo sblocco di un iPhone motivandolo con un'inchiesta che agli occhi di quel governo è su presunti terroristi, ma che magari sono semplicemente attivisti o dissidenti che non piacciono alla Cina? La questione, spiega Li Yuan, interessa fortemente Apple: che dal mercato cinese ricava il 25 per cento delle sue entrate e non vuole certo passare per la compagnia che cede informazioni ai regimi. Cupertino lo ha detto chiaramente la settimana scorsa, pur senza nominare chiaramente la Cina: "Sviluppare una porta d'accesso che forzi i cellulari finirebbe per diventare, prima o poi, uno strumento nelle mani dei governi stranieri".

Già. Ma cosa sarebbe successo se invece di avere in tasca un iPhone i terroristi di San Bernardino avessero usato un telefonino supportato da un sistema operativo Android, come ad esempio un Galaxy di Samsung ? Se lo è chiesto il Washington Post che fa notare come fra le due compagnie leader nella vendita di smartphone ci sia una differenza chiave: Apple controlla sia l'hardware (lo strumento) che il software dei suoi cellulari. Samsung invece utilizza il sistema operativo Android sviluppato da Google e poi adattato alle esigenze dell'apparecchio che lo supporta. Cosa vuol dire questo? Innanzitutto, spiega il WP, che anche se il sistema permette la crittografia, questa non è ancora molto diffusa fra i suoi utenti. Con Marshmallow, il sistema operativo rilasciato lo scorso ottobre, la crittografia è obbligatoria per i dispositivi di nuova generazione venduti da quella data. Per gli smartphone precedenti, il sistema di secretazione va attivato dall'utente a secondo delle capacità dell'apparecchio e del sistema operativo.

A oggi, insomma, solo l'1,2 per cento degli Android usa Marshmallow: se ne deduce che per la maggior parte, i dati dei suoi utenti non sono criptati. Ma seppure lo smartphone fosse criptato, non ci sarebbe bisogno di chiedere un accesso al software, perché basterebbe accedere all'hardware. Lo spiega al WP Chris Soghoian, esperto di tecnologie dell'American Civil Liberties Union che si occupa proprio di garantire la privacy dei dati personali. In un caso come quello di San Bernardino, dice, ci sarebbero più strade da battere per ottenere le informazioni che oggi chiede l'Fbi: passando da chi lo smartphone lo ha prodotto, dal provider che gestisce il traffico e così via. Questo naturalmente non vuol dire che l'accesso ai dati sarebbe più facile. Lo fa sapere la stessa Samsung in un documento mandato al Washington Post dove spiega che, proprio come Apple, aprire strade preferenziali per dare accesso al governo alle informazioni contenute sui suoi cellulari non fa certo parte della sua policy perché minerebbe la fiducia dei clienti. Ma, osserva, "se la richiesta è conforme alla legge, lavoreremo negli ambiti di legge": facendo presumere che sarebbe pronta a valutare caso per caso.

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