Angelo Ferrillo, trentacinquenne ricercatore e videomaker per passione, è l’anima di Laterradeifuochi.it.
Grazie alla sua piattaforma di geolocalizzione creata in casa, ha messo
in rete il dramma che si consuma in Campania: quello dei roghi tossici
di rifiuti speciali, espressione delle nuove eco-mafie.
Cinque anni fa ha deciso di imbracciare una telecamera e di denuciare questa pratica criminale
che si registra nell’hinterland napoletano e che, talvolta, si spinge
fino a Caserta e Benevento. «Qui c’è una terra che brucia ogni giorno
tra l’indifferenza dei media ed uno Stato che non detiene il controllo
del territorio. Con Laterradeifuochi.it abbiamo documentato anche venti
roghi contemporanei. Mi sono avvicinato alla rete per esasperazione, per
far conoscere questo dramma», così mi ha raccontato Ferrillo.
Angelo e quelli come lui.
Coraggiosi, altruisti, digitalizzati, armati di telecamere
semiprofessionali, talvolta anche di microcamere nascoste (oggi più a
buon mercato). Informano su ciò che accade sottocasa, denunciano ciò che
non va, creano un filodiretto tra cittadini, oggi users, e le
amministrazioni locali. Mettono in rete forum tematici e community per
scambi di pareri o per intraprendere azioni anche collettive. E pazienza
se le class action da noi non hanno risvolti legali come Oltreoceano.
L’Italia dell’emergenza continua. che non merita più neanche uno spazio
nelle brevi dei giornali, è quella che ogni giorno continua a darsi
appuntamento in rete.
La nuova ricerca Watchdog 2012 – quinto rapporto promosso dall’osservatorio e network Altratv.tv – fotografa una situazione in chiaroscuro. “Watchdog”
sta a significare “cane da guardia” e afferisce al giornalismo
anglosassone legato alle inchieste realizzate dai giornalisti “cani da
guardia” del potere, soprattutto politico. La ricerca ha interrogato 642
web tv e 815 testate digitali mappate da Altratv.tv, registrando un
tasso di risposta del 66%.
Si professionalizza maggiormente
la filiera digitale dei watchdogger e si registra di fatto una maggiore
collaborazione con le PA locali (e sempre più cinguettanti).
Ma gli investimenti sono ancora troppo contenuti, e il più delle volte
affidati all’autofinanziamento dei fondatori. Quello
della sostenibilità è un aspetto che rallenta e di molto la
moltiplicazione di questi watchdogger, spesso impegnati a sbarcare il
lunario piuttosto che a monitorare inchieste effettuate o da
documentare. Solo il 22% delle “antenne” ottiene incentivi dal pubblico,
il 12% riesce ad avere finanziamenti europei e uno scarsissimo 8% ha
rapporti economici con privati: questo dato sconfontante significa che
le aziende del territorio non investono sui media digitali locali.
A fare la parte del leone è ancora la formula dell’autofinanziamento
(vale per il 60% dei casi analizzati), che si esplicita attraverso
sottoscrizioni, donazioni o operazioni in crowdfunding. A fare inchiesta
prevalgono ancora le antenne territoriali (88%) rispetto alle community
o ai forum tematici (12%). Spesso le iniziative digitali nascono per
volontà di cittadini (45%) o di istituzioni pubbliche (15%), ma crescono
anche le esperienze di associazioni, aziende e gruppi di interesse
(40%).
Migliora (seppur di poco) il rapporto con la PA locale:
nonostante il 47% delle antenne percepisca “indifferenza”, per il 33%
dei casi c’è “collaborazione”, mentre un 14% lamenta forme di
“boicottaggio” più o meno evidenti (nel 2011 il dato era fermo all’8%) e
solo un timido 6% registra un sostentamento economico.
Quasi una antenna su tre dedica più della metà della programmazione alle denunce, ma le redazioni di web tv e testate digitali non sono ancora mature per formule di specializzazione interna.
E così, nel 64% dei casi, per le
inchieste non ci sono in redazione figure specifiche. Tuttavia aumenta
la capacità di presidiare l’oggetto della denuncia: l’82% segue sempre o
quasi sempre l’evolversi dei fatti (il noto “come è andata a finire?”
a cui Report ci ha alfabetizzato): tra le notizie maggiormente
monitorate ci sono la politica (52%), l’ambiente (42%), il lavoro (30%),
la salute (28%).
Se quasi la totalità delle
antenne adotta telecamere digitali semi-pro o professionali (88%) e si
registra un incremento delle microcamere nascoste (21%),
rilsulta ancora scarsa la possibilità di inserire contributi video di
denuncia autoprodotti dai cittadini-users. Solo il 42% delle piattaforme
lo consente, a fronte di un 58% che non offre questa opportunità.
Denunce prevalentemente social: video e notizie vengono postati anche su
Facebook (91%), Twitter (84%) o altri social network (6%). Si
incrementa il numero di antenne che si posizionano su piattaforme di
videosharing: l’88% carica video su YouTube.
Dicevamo in testa al post di Angelo e di quelli come lui. Ce ne sono centinaia, ma vi segnalo dieci storie di straordinaria programmazione. In Sicilia c’è Pino Maniaci, artefice di Telejato.it,
prima tv di comunità antimafia, oggi anche in rete. A Podenone c’è
Francesco Vanin che, con la sua “restaurant-tv” (prima in Europa) Pnbox,
offre un microfono aperto permanente ai suoi concittadini. A Bari c’è
una giovanissimo team che ha acceso una web tv creando uno specifico
format settimanale (trasmesso al lunedì) con il primo cittadino Michele
Emiliano. Direttamente da casa e per diversi mesi, Emiliano ha risposto
ai messaggi su Facebook rimbalzando in diretta sulla web tv Baritv.tv.
Da Nord a Sud, fortunatamente, i watchdogger si moltiplicano: in Emilia presidiano la ricostruzione post-terremoto tanti videomaker che postano aggiornamenti anche sulla nota piattaforma YouReporter. In Basilicata la web tv Ola Channel
denuncia gli scempi ambientali, in una terra ricca di petrolio e povera
di lavoro. Dalle regioni fino ai singoli quartieri, così la lente di
ingradimento mette a fuoco le magagne del Paese (e dei paesi). A Firenze
c’è il videoblog di Via del Pesciolino, creato dai condomini del complesso di via Del Pesciolino, situato in un quartiere difficile ma digitalizzato.
Nel sud-Italia il portale Incompiuto Siciliano
ha mappato tutte le opere incompiute, geolocalizzandole e in qualche
modo archiviandole. È partito da Giarre, terra regina dell’incompiuto, e
oggi va oltre i confini isolani. Attecchiscono in rete community e forum tematici. A Pistoia c’è il blog Genitori di Pistoia, che denuncia il caro-mensa dei nidi della città: dal blog collettivo è nato “lo sciopero del panino” contro le nuove tariffe.
Dai genitori ai ricercatori. Il forum di denuncia su Facebook è nato tre anni fa e si chiama Secs in the cities:
è dedicato alle denunce di ricercatori e cerca di contrastare concorsi
truccati e pratica baronali ancora estremamente diffuse. E c’è anche chi
si occupa di evasione fiscale: Evasori.info
aggrega migliaia di segnalazioni per milioni di euro evasi. Il sito di
denuncia nasce da un informatico italiano che resta sotto anonimato.
Anche le denunce sono anonime, ma significative: si possono segnalare
categoria di appartenenza dell’evasore, cifra evasa e area geografica di
riferimento.
I watchdogger italiani
presidiano il territorio laddove anche tv e giornali locali sono
scomparsi, e accendono un microfono, che spesso diventa megafono. Anni
addietro a Reggio Emilia nacque proprio Telecitofono: un videobox al
posto del videocitofono, e i cittadni che lasciavano messaggi. Denunce e
segnalazioni portate poi all’attenzione dell’amministrazioone comunale.
Ecco: se la rete dei watchdogger ha un merito è sicuramente quello di
personalizzare strumenti digitali, plasmandoli alle necessità di una
comunità assetata di risposte e di giustizia. Chiamatelo, se volete,
servizio pubblico. Anche se non lo trovate sui tasti del telecomando.
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