Lo stupratore seriale è un terribile personaggio/simbolo che dalle cronache rimbalza in rete, dove produce indignazione, ma non prudenza nel dare informazioni sul privato. Solo su Facebook esistono oltre 200 gruppi che contengono nella loro dicitura un riferimento al termine «stupratore », anche se i motivi dell’aggregazione sono i più disparati. Molti dei gruppi come «Mobilitamoci contro Rapelay il gioco dello stupratore» vogliono impedire la diffusione del video game il cui nome è un gioco di parole che indica lo stupro ripetuto. Creato dalla giapponese Illusion, che lo ha lanciato nel 2006 Rapelay ha fatto coalizzare in Italia oltre 30.000 iscritti al gruppo che non vorrebbe far passare l’idea che sia sano diffondere un gioco che trasforma lo stupro seriale di donne in un talento per vincere. Un altro genere di gruppi protesta per le misure non adeguate a punire gli stupratori: «Ghigliottina al 22enne stupratore di capodanno». (140 iscritti), «Rimettiamo in galera lo stupratore di Roma» (341 iscritti). «Sputiamo in faccia allo stupratore della Caffarella» (160). Crescono gli affiliati per l’incrudimento della pena prevista per lo stupratore: «Sei uno stupratore? Ti tagliamo le palle, figlio di puttana !» arriva a 712 iscritti. Il cemento dell’indignazione poi si solidifica quando si passa ai particolari tecnici per la castrazione, «chirurgica e non chimica». Il culmine si raggiunge nel gruppo «Nessuna pietà per gli stupratori, cesoie arrugginite!». Impressionante è invece il numero delle adesioni ai gruppo «Le donne non si violentano.....si amano! Merde!!!» che conta 181.402 iscritti, e quello «500000 per l’introduzione di misure detentive SEVERE per i reati di stupro» che è già arrivato a 20.857 iscritti.Un terzo filone è quello dei gruppi creati in reazione a quelli che «mitizzato » stupratori «celebri». «Ma la cosa che fa ancora piu’ schifo è
che su Facebook ci sono gruppi a sostegno di Josef Fritzl» Il padre-mostro di Amstetten condannato all’ergastolo per l’incesto e le violenze sulla figlia e su cui pesa il sospetto di quattro omicidi di ragazze, ha infatti vari gruppi di sostenitori come «Josef Fritzl Fanclub» (930 affilati da Londra) E vari «Free Josef Fritzl» sempre con qualche centinaio di iscritti. Mentre sul social network si accende indignazione sulla violenza sessuale, nello stesso luogo sembra che ben poco facciano le potenziali vittime per evitare il pericolo. Per quanto sia facile che il Web aggreghi istanze su temi di scottante attualità sociale come la violenza sulle donne, non è scontato che all’ interno della stessa rete ci sia reale condivisione delle regole di salvaguardia delle donne che la frequentano dal rischio di attenzioni non desiderate. Aggiornare sempre il proprio status via Blackberry o postare su Twitter ogni 10 minuti, come molte fanno, fornisce indicazioni ai molestatori seriali o peggio. Non tutti sanno che se si mette in condivisione in un gruppo una foto presa dal proprio album, e non si sta attenti, l’ album diventa sfogliabile da tutti i membri del gruppo, spesso migliaia. «Davvero è pericoloso mettere le foto in Facebook? Io ho messo quelle delle vacanze... » E’ una delle domande più frequenti.
Basta mettere come uniche informazioni la data di nascita e l’ indirizzo di email. La mailbox non è a prova di scasso, si finge di aver smarrito la password e, dopo aver scritto l’ID della «vittima», si va avanti fino a che come domanda di backup, viene chiesta la data di nascita…Lei
l’ha messa sul profilo perché magari le piace ricevere i virtual auguri da tanta gente, ma così ha anche fornito la chiave della sua casella.. Altre volte sono gli stessi amici che fanno girare informazioni in buonafede, taggato una foto di gruppo e scrivendo su questa commenti e riferimenti.
Fonte: LA STAMPA - Autore: Gianluca Nicoletti
che su Facebook ci sono gruppi a sostegno di Josef Fritzl» Il padre-mostro di Amstetten condannato all’ergastolo per l’incesto e le violenze sulla figlia e su cui pesa il sospetto di quattro omicidi di ragazze, ha infatti vari gruppi di sostenitori come «Josef Fritzl Fanclub» (930 affilati da Londra) E vari «Free Josef Fritzl» sempre con qualche centinaio di iscritti. Mentre sul social network si accende indignazione sulla violenza sessuale, nello stesso luogo sembra che ben poco facciano le potenziali vittime per evitare il pericolo. Per quanto sia facile che il Web aggreghi istanze su temi di scottante attualità sociale come la violenza sulle donne, non è scontato che all’ interno della stessa rete ci sia reale condivisione delle regole di salvaguardia delle donne che la frequentano dal rischio di attenzioni non desiderate. Aggiornare sempre il proprio status via Blackberry o postare su Twitter ogni 10 minuti, come molte fanno, fornisce indicazioni ai molestatori seriali o peggio. Non tutti sanno che se si mette in condivisione in un gruppo una foto presa dal proprio album, e non si sta attenti, l’ album diventa sfogliabile da tutti i membri del gruppo, spesso migliaia. «Davvero è pericoloso mettere le foto in Facebook? Io ho messo quelle delle vacanze... » E’ una delle domande più frequenti.
Basta mettere come uniche informazioni la data di nascita e l’ indirizzo di email. La mailbox non è a prova di scasso, si finge di aver smarrito la password e, dopo aver scritto l’ID della «vittima», si va avanti fino a che come domanda di backup, viene chiesta la data di nascita…Lei
l’ha messa sul profilo perché magari le piace ricevere i virtual auguri da tanta gente, ma così ha anche fornito la chiave della sua casella.. Altre volte sono gli stessi amici che fanno girare informazioni in buonafede, taggato una foto di gruppo e scrivendo su questa commenti e riferimenti.
Fonte: LA STAMPA - Autore: Gianluca Nicoletti
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