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lunedì 9 dicembre 2013

Adescata su Facebook a 10 anni e ripresa nuda

Richieste sempre più hard sotto la minaccia di diffondere le immagini in rete Ma la bambina chiede aiuto e la Polpost rintraccia e denuncia un 55enne
    PESCARA. A dieci anni aveva già il suo profilo Facebook, ma in rete l’ha adescata un padre di famiglia di 55 anni che utilizzando un nome femminile l’ha convinta a spogliarsi nella sua cameretta e a tenere atteggiamenti sessuali davanti a una web-cam, fino a chiederle, sempre davanti a quella web-cam, di compiere atti autolesionistici ancora a sfondo sessuale. Troppo per la ragazzina finita nella rete dell’orco il quale però, di fronte al suo rifiuto, l’ha ricattata dicendole che avrebbe pubblicato e condiviso su Facebook tutti i filmati registrati fino ad allora. Ma invece di ottenere la resa della bambina, ne ha provocato la reazione terrorizzata che l’ha fatta correre in lacrime dai genitori a cui ha raccontato tutto. È iniziata così, a ottobre, la vicenda che ha portato all’individuazione e alla denuncia per adescamento, violenza sessuale (aggravata dalla minore età della presunta vittima), detenzione e produzione di materiale pedopornografico, di un 55enne residente in Sicilia. Un piccolo imprenditore sposato e con due figli, rintracciato dagli specialisti della polizia postale del comparto Abruzzo a cui i due genitori si sono subito rivolti dopo le rivelazioni shock della figlia. Indagini complesse, coordinate dalla Procura distrettuale Antimafia dell’Aquila e dirette dalla dirigente della Polpost Elisabetta Narciso che hanno portato i poliziotti pescaresi a interpellare direttamente la sede centrale di Facebook a Palo Alto, in California, da cui in brevissimo tempo hanno ottenuto i dati e i collegamenti utilizzati dal 55enne per attivare quel profilo. Da qui sono risaliti alla sua utenza telefonica che, dopo ulteriori accertamenti, ha portato gli investigatori a localizzare con esattezza il presunto adescatore della bambina pescarese. A quel punto, grazie alla celerità della Procura distrettuale antimafia, è arrivata subito la delega a perquisire l’abitazione del presunto adescatore che sul computer custodito in camera da letto aveva effettivamente le immagini registrate della ragazzina nuda. Quanto basta per far scattare nei suoi confronti la denuncia per reati che prevedono pene dai 6 ai 12 anni di reclusione (violenza sessuale, adescamento, produzione e detenzione di materiale pedopornografico) ma per cui l’arresto è previsto solo in flagranza di reato o di fronte a un’ingente quantità di materiale pedopornografico sequestrato. Ma intanto il procedimento è stato avviato: il computer dell’uomo è stato sequestrato e adesso sono in corso tutta una serie di accertamenti incrociati per verificare se, come ipotizzano gli investigatori, ci siano altre vittime. Un fenomeno, questo dell’adescamento a scopo sessuale in rete, che solo quest’anno ha fatto pervenire alla Polpost almeno una quindicina di segnalazioni, con cinque denunce andate in porto. Un fenomeno più diffuso di quello che si pensi, anche quando, come nel caso della bambina di dieci anni, i genitori sanno del profilo Facebook (magari sono loro stessi ad averlo attivato), ma si basano solo sul rapporto di fiducia con il proprio figlio. E invece spesso può non bastare perché quando un bambino di 10- 12 anni ha libero accesso al computer, spesso sistemato proprio in cameretta, i brutti incontri (virtuali) sono dietro l’angolo. «C’è una sottostima del fenomeno», spiega la dirigente Narciso, «in cui è fondamentale la vigilanza da parte dei genitori, soprattutto in questa particolare fascia di età dove la consapevolezza di essere ancora piccoli va di pari passo con la voglia di emanciparsi». Ed è qui che si insinuano gli adescatori, come dimostrano le chat su cui si imbattono e indagano i poliziotti della Polpost: prima delle richieste a sfondo sessuale gli scambi verbali tra i due interlocutori sono piuttosto brevi. Il ragazzino agganciato su Facebook o su altre piattaforme virtuali è quasi lusingato dall’interesse dell’adescatore, bravo a portare la vittima prescelta sulla chat privata e, qui, a farla sentire importante, creando un rapporto di complicità che lo scherma da ripensamenti e ingerenze esterne. Salvo poi cambiare improvvisamente registro, e usare il ricatto della pubblicazione in rete di quelle immagini vietate: un autogol, nel caso della bambina pescarese, che terrorizzata dal rischio che quei filmati diventassero di dominio pubblico è corsa a chiedere aiuto. Ma quanti, sottolineano gli investigatori, si tengono il segreto?

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