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giovedì 23 giugno 2011

Un virus per pc inchioda Bisignani lo Stato diventa hacker a fin di bene


L'inchiesta della procura di Napoli sulla P4 ha utilizzato un software per trasformare il pc di Bisignani in una microspia. In grado di intercettare anche le telefonate su Skype. Così le tecniche dei pirati informatici, spesso usate per spionaggio e guerre cibernetiche, in Italia diventano uno strumento in mano agli inquirenti

La chiave dell'inchiesta sulla P4 sta anche in qualche byte di codice, in un programma per computer - un virus si potrebbe dire - che i pm Henry John Woodcock e Francesco Curcio sono riusciti a installare nel portatile di Luigi Bisignani, trasformandolo di fatto in una cimice. Un esempio di una tecnologia 'da hacker' utilizzata per fini nobili: come un Robin Hood che intercetta gli indagati per aiutare la giustizia. Il faccendiere teneva le fila del suo governo-ombra 1 in un piccolo bunker. Impossibile entrare. Inoltre sapeva di essere intercettato: infatti cambiava spesso schede telefoniche, per rendere la vita difficile agli investigatori. E telefonava attraverso il web, utilizzando software come Skype nella convinzione - più che diffusa - che queste chiamate fossero sicure. Errore: perché se è vero che la tecnologia aiuta tutti, anche le forze dell'ordine possono utilizzarla a proprio vantaggio. Tecnicamente si chiamano trojan, e prendono il nome dal famoso cavallo omerico: sono dei programmi che si installano all'insaputa del proprietario del computer e agiscono in silenzio, senza farsi notare, ma con risultati spesso distruttivi. I trojan classici sono utilizzati dagli hacker per rubare dati personali agli utenti (come i numeri delle carte di credito) o per inviare e-mail di spam, o ancora per guidare da lontano un computer infetto. La differenza è che 'Querela' - questo il nome del file installato sul pc di Bisignani - è un programma sviluppato interamente dalle forze dell'ordine italiane e la sua funzione è quella di trasformare un pc in una cimice: prendendo il controllo della scheda audio, può catturare attraverso il microfono tutto quello che succede nella stanza e inviarlo agli investigatori. Non solo: registrando direttamente dalla scheda audio, può aggirare le difficoltà di intercettazione dei software per le chiamate Voip (voice over internet protocol, come Skype). C'è quindi anche uno spirito piratesco - ma legalizzato - in 'Querela', un software che si sta rivelando fondamentale nelle inchieste contro la criminalità organizzata. A infettare il computer di Bisignani è stata, come succede a tutti prima o poi, una semplice mail: all'apparenza un messaggio in arrivo da un social network (come Facebook o Linkedin) che però porta l'utente su un sito creato ad hoc che installa il software-spia. 'Querela' è quindi un esempio positivo di quello che uno Stato può fare con la tecnologia. Ma è un caso limite. Se, grazie allo sviluppo di internet, la vita è migliorata (o semplicemente cambiata, per chi preferisce evitare giudizi di valore) si sono anche moltiplicate le occasioni per hacker e cybercriminali di danneggiare gli utenti e trarne vantaggio. E sempre più la tecnologia è diventata anche strumento di competizione internazionale e di guerra 'fredda'. È ormai finito il tempo delle spie classiche, quelle stile James Bond o quelle in impermeabile che si incontrano in vicoli bui: la spia del nuovo millennio è un geniale ventenne seduto dietro uno schermo, dall'altra parte del mondo, che cerca di entrare nelle reti protette di governi e grandi aziende. Il caso Aurora, l'attacco da parte di hacker cinesi ai server di Google nel 2009, o casi più recenti (sempre Cina contro Google 2) hanno fatto raffreddare i rapporti tra Washington e Pechino, per i sospetti sull'origine governativa di queste aggressioni. Solo una settimana fa, l'ex consigliere per la sicurezza nazionale Usa Richard Clarke ha lanciato un ulteriore allarme: "In privato, i funzionari statunitensi ammettono che il governo non ha alcuna strategia per fermare l'assalto cibernetico della Cina". E ha aggiunto che "Pechino sta rubando grandi quantità di informazioni dagli Stati Uniti". Non solo Cina, in ogni caso: è emblematica la storia di Stuxnet, il primo worm creato per infettare sistemi industriali. Gli esperti lo definiscono come "il virus più potente mai visto" e finora è stata, per scelta dei suoi creatori, un'arma senza scopo: ha infettato milioni di computer senza fare danni, una semplice dimostrazione di forza. È l'equivalente di avere una pistola puntata alla testa: fa paura anche se nessuno ha premuto il grilletto. E fino a quando non succederà, non si potrà conoscere l'effettiva potenza distruttiva di questo virus. Chi l'abbia creato è un mistero, ma qualche indizio c'è: la maggior parte dei computer infettati è in Iran 3, per questo si è ipotizzato che potesse essere un'arma per fermare il programma atomico di Teheran. Quando uno Stato si fa hacker, il confine tra legittima difesa, spionaggio, guerra informatica o criminalità è molto labile. Fatto è che non tutti possono contare su queste tecnologie: "Sono in pochi i Paesi con ingegneri di livello tale da sfruttare questi sistemi", ha spiegato Eugene Kaspersky 4, esperto di sicurezza e creatore dell'omonimo antivirus, parlando dei rischi del cyberterrorismo: "Ci sono gli Stati Uniti, i Paesi europei, Israele, la Russia, la Cina e l'India. Ma sono anche conoscenze che si possono acquistare da veri hacker, interessati solo al guadagno". Non serve più la fedeltà delle vecchie spie: per mettere in ginocchio un avversario basta pagare. Al di fuori di questa zona grigia ricade 'Querela', lo strumento giudiziario più avanzato - e assolutamente legale - per il contrasto alla criminalità. Un semplice software, una lunga sequenza di 0 e 1, che oggi segna un punto a suo favore grazie ai risultati nell'inchiesta su Luigi Bisignani e Alfonso Papa.

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