Odiare chi odia
Così in modi impliciti ed espliciti, tra le pieghe della rete o sovraesposti, troviamo forme diverse di hate speech online: da quelli sessisti e omofobici a quelli prodotti contro le religioni diverse e contro diverse affiliazioni, fino a discorsi d’odio prodotti sulla base di etno-nazionalisimi, a sfondo razzista o di discriminazione politica. Non che in Rete non esistano anticorpi, come il gruppo Stop Hate Speech on Facebook che si occupa esplicitamente di questo:
Questo gruppo è per chi pensa che l’uso di discorsi di incitamento all’odio su Facebook (o in qualsiasi altro luogo) è assolutamente inaccettabile. Qui, è possibile inviare o trovare informazioni sui gruppi di Facebook che utilizzano espressioni di odio o promuovere crimini d’odio e comunicarli agli amministratori Facebook.
Richiamando il codice di condotta di Facebook, i partecipanti segnalano utenti o gruppi che condividono contenuti caratterizzati da minacce, intimidazioni, molestie o che rientrano nel bullismo online. Allo stesso modo segnalano attacchi diffamatori alle persone e contenuti che incitano all’odio. Così sono arrivati a far rimuovere cinque gruppi che incitavano all’odio contro gli albanesi, uno contro i croati, uno contro i greci, due contro gli afroamericani, nove contro lesbiche e gay, due contro i serbi, undici xenofobi e di promozione del nazionalismo e nove che incitavano a crimini contro i Rom.
L’odio che non t’accorgi
Ma le segnalazioni sono anche più sfumate, contro gruppi meno “radicali” e comportamenti di singoli. Troviamo così una petizione per la chiusura di un gruppo che prega per la morte del Presidente Obama; la segnalazione di aggiornamenti di stato come «If they build a mosque at ground zero, Someone should fly a plane into it»; la segnalazione di un gruppo che descrive l’omosessualità come una malattia da curare; uno spiritoso gruppo che si propone di revocare il permesso di parcheggio agli handicappati; viene segnalata una persona che nel suo campo di grano su Farmville ha disegnato una svastica. Ed è alta anche l’attenzione per chi segnala, come si può notare dal commento di un membro a una ragazza che scrive sul wall denunciando un gruppo: «Grazie per avere aderito alla causa stop hate groups on Facebook, ma ho anche notato che sei un membro attivo di uno de gruppi anti-gay a cui questa comunità si oppone».
Anche questo è un modo di abitare la rete, osservando che cosa ci accade attorno e cercando di far crescere un senso critico del nostro abitare. Perché anche se non necessariamente si producono crimini d’odio espliciti, nel tempo queste pratiche tendono a marginalizzare le diversità identitarie. E spesso, accanto a gruppi che incitano esplicitamente all’odio, troviamo piccole forme di discriminazione e di esclusione discorsiva che possono diventare parte del contesto quotidiano, del nostro modo di parlare online negli aggiornamenti di stato; oppure prendono la forma sottile di immagini caricate con intenzione ironica; o le incoraggiamo semplicemente con un like.
Fermare l’odio
La nostra responsabilità passa quindi anche dalle abitudini comportamentali che caratterizzano il nostro modo di stare in rete. Come il fatto che spesso accettiamo la condivisione di contenuti senza curarcene troppo e facilitiamo la circolazione di discorsi di incitamento all’odio senza accorgercene. Per questo parlarne può aiutarci a esplicitare la necessità di far crescere una consapevolezza critica sui discorsi che facciamo online, perché con le nostre parole stiamo costruendo un mondo che può includere ed escludere con estrema facilità. E questo farà la differenza.
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