Pagine

Visualizzazioni totali

Google Scholar

venerdì 29 ottobre 2010

L'Espresso: "Polizia spiona su Facebook". La replica: "Non è vero"


Piattaforma "aperta" per gli agenti. Lo annuncia il settimanale, smentito dal direttore della polizia Postale: «ci muoviamo sempre con l'autorizzazione»

Facebook collabora con la polizia postale italiana, aprendo la possibilità di controllare le sue pagine senza presentare richieste ufficiali alla magistratura e accorciando così i tempi della necessaria rogatoria internazionale. La notizia è riportata sulle pagine del settimanale "L’Espresso", che ha fornito un’anticipazione dell'articolo intitolato "Così la polizia ti spia su Facebook". L’accordo è il primo in Europa di questo genere ed è stato firmato due settimane fa dai funzionari italiani che sono andati a Palo Alto perchè, scrive il giornale, «la tempestività di intervento è fondamentale per reprimere certi reati che proprio per la velocità di diffusione su Internet evolvono in tempo reale». Senza che sia necessaria l’autorizzazione di un pubblico ministero è, però, legittima la preoccupazione sulla privacy. Perchè l’accordo consente di avere una «corsia preferenziale» per contrastare la «lotta alla pedopornografia, al phishing e alle truffe telematiche», ma in concreto, conclude il settimanale, «i 400 agenti della direzione investigativa della polizia postale e delle comunicazioni potranno sbirciare e registrare i quasi 17 milioni di profili italiani su Facebook».
Così risponde il direttore centrale della polizia Postale Antonio Apruzzese, commentando il servizio: «Figuriamoci se la polizia si mette a spiare i navigatori di Facebook». «Quando la polizia Postale o altri organio (carabinieri, GdF ecc ecc.) nel condurre una indagine si dovesse trovare ad intercettare comunicazioni su Facebook - spiega - ci muoviamo sempre con l’autorizzazione della magistratura. Anche perchè nel caso contrario tutto ciò che si fa non avrebbe alcun valore processuale. Anzi se violassimo la rete senza autorizzazione della magistratura commeteremmo un reato penale». Poi il direttore della polizia Postale ricostruisce come la l’Italia abbia raggiunto un accordo con Facebook: «ai primi di ottobre sono venuti in Italia, dopo lunghe trattative e contatti i responsabili di Facebook al massimo livello accompagnati anche dai loro legali e hanno illustrato le procedure per chiedere ed ottenere l’accesso alla rete per vicende di polizia giudiziaria e, soprattutto per quali casi, in base alla legislazione anglosassone, si possono concedere le autorizzazioni. Hanno spiegato punto su punto, abbiamo stilato le linee guida e girato le direttive a tutti gli organismi di polizia italiana». E sempre per rassicurare i navigatori di Facebook il dott. Apruzzese elenca quali sono in reati per i quali la magistratura italiana può concedere l’autorizzazione: «sono i reati ammessi dalla legislazione anglosassone: quelli contro la persona, il patrimonio, i suicidi, gli omicidi e la criminalità organizzata. Perchè velocizzare queste procedure? - conclude Apruzzese - figuriamoci se qualcuno su facebook annuncia che si vuole uccidere, che facciamo, avviamo tutte le pratiche delle convenzioni internazionali? Stesso discorso vale per omicidi e gli altri reati per i quali si è raggiunto l’accordo. Il tutto, ovviamente, con l’autorizzazione del magistrato».

Fonte: La Stampa

1 commento:

  1. Indipendentemente dal fatto che un quotidiano cerchi sempre e comunque i numeri e dunque lo scoop, in questi casi quando si parla di un discorso delicato e importante come quello della privacy sulla rete nonché della nostra sicurezza personale, forse sarebbe meglio che il confronto con le autorità venga fatto prima della pubblicazione dell'articolo per dar modo di certificare l'informazione ricevuta da terze parti.

    RispondiElimina