Facebook è il luogo frequentato da milioni di persone di ogni genere ed età. Spesso si creano situazioni incresciose che possono sfociare in insulti e offese anche gravi. Che succede in questi casi? Facebook può essere considerato colpevole oppure vale la responsabilità personale, per cui tutti noi siamo responsabili delle nostre azioni anche in luoghi virtuali come i Social Network?
Non essendo io un esperto di legge ho rigirato la questione a Massimo Melica, avvocato esperto di diritto applicato alle nuove tecnologie della comunicazione. In particolare mi interessava la sua opinione sulla recente sentenza che ha visto il Tribunale civile di Monza, con la sentenza del 2 marzo 2010, condannare un soggetto al pagamento di Euro 15.000,00 (oltre spese legali) per aver leso la reputazione, l’onore o il decoro di una persona mediante l’invio di un messaggio tramite il social network “Facebook”.
Per motivi di privacy le persone coinvolte sono state indicate con i nomi fittizi di Tizio e Caia
Qui di seguito l’intervista:
The Marketer: “Avvocato può riassumere la novità introdotta dalla sentenza del Tribunale di Monza?”
M.M.: “La sentenza non introduce nulla di nuovo nel panorama giuridico, bensì applica la norma vigente a tutela dell’immagine e del decoro della persona all’interno di una piattaforma di social network, come Facebook.
Nella fattispecie in esame tra Tizio e Caia, al termine di un rapporto sentimentale, si sono succeduti una serie di messaggi conclusi con un messaggio di Tizio, veicolato sulla bacheca di Caia dove viene offesa non solo per un suo difetto fisico (esotropia congenita) quanto per aver reso conosciuti determinati gusti sessuali di quest’ultima, ledendo, in tal modo, la reputazione, l’onore ed il decoro di Caia.”
The Marketer: “Avvocato ma non si tratta di una comunicazione, magari una corrispondenza, privata?”
M.M.: “Sicuramente no, perché il messaggio scritto sulla bacheca di un utente di Facebook viene automaticamente condiviso, grazie ad un sistema di “tagging”, con una community di persone molto vasta e difficile da quantificare, community formata e concatenata grazie ad una serie di permessi e autorizzazioni che l’applicazione permette a ciascun utente di settare.
Pertanto è chiaro che non si tratta più di un messaggio inviato tra due o più soggetti ben identificati sia dal mittente che dal destinatario, in questo caso rientrerebbe la peculiarità della corrispondenza “privata”, bensì ci troviamo davanti ad una pubblicazione rivolta ad una pluralità indefinita di soggetti.”
The Marketer: “Dunque si aprono scenari nuovi per la giurisprudenza?”
M.M.: “Il Tribunale ha affermato principi già noti circa la risarcibilità del danno morale soggettivo, che deve essere inteso come “un turbamento dello stato d’animo della vittima” del fatto illecito, quindi come l’insieme delle sofferenze inflitte alla persona danneggiata dall’evento dannoso, il tutto indipendentemente dal fatto che la stessa condotta abbia rilevanza penale.”
The Marketer: “Non vi è responsabilità di Facebook?” M.M.: “Nel caso di specie è stato ritenuto, a mio avviso giustamente, che il social network è uno strumento di diffusione dell’espressione lesiva della reputazione ma non ricade su di esso alcuna responsabilità per la mediazione offerta.
La società Facebook, a tal proposito, rende noto i “termini e le condizioni di utilizzo” della piattaforma di social network, e pur reputandosi proprietaria dei contenuti pubblicati dagli utenti, declina ogni responsabilità civile e/o penale ad essi relativi. In definitiva, come spiega la sentenza del Tribunale di Monza, gli utenti che decidono di aderire a “Facebook” sono ben consci non solo delle grandi possibilità relazionali offerte dal servizio, ma anche delle potenziali esondazioni dei contenuti che vi inseriscono : rischio in una certa misura indubbiamente accettato e consapevolmente vissuto sotto il profilo dell’assunzione di responsabilità.”
M.M.: “La sentenza non introduce nulla di nuovo nel panorama giuridico, bensì applica la norma vigente a tutela dell’immagine e del decoro della persona all’interno di una piattaforma di social network, come Facebook.
Nella fattispecie in esame tra Tizio e Caia, al termine di un rapporto sentimentale, si sono succeduti una serie di messaggi conclusi con un messaggio di Tizio, veicolato sulla bacheca di Caia dove viene offesa non solo per un suo difetto fisico (esotropia congenita) quanto per aver reso conosciuti determinati gusti sessuali di quest’ultima, ledendo, in tal modo, la reputazione, l’onore ed il decoro di Caia.”
The Marketer: “Avvocato ma non si tratta di una comunicazione, magari una corrispondenza, privata?”
M.M.: “Sicuramente no, perché il messaggio scritto sulla bacheca di un utente di Facebook viene automaticamente condiviso, grazie ad un sistema di “tagging”, con una community di persone molto vasta e difficile da quantificare, community formata e concatenata grazie ad una serie di permessi e autorizzazioni che l’applicazione permette a ciascun utente di settare.
Pertanto è chiaro che non si tratta più di un messaggio inviato tra due o più soggetti ben identificati sia dal mittente che dal destinatario, in questo caso rientrerebbe la peculiarità della corrispondenza “privata”, bensì ci troviamo davanti ad una pubblicazione rivolta ad una pluralità indefinita di soggetti.”
The Marketer: “Dunque si aprono scenari nuovi per la giurisprudenza?”
M.M.: “Il Tribunale ha affermato principi già noti circa la risarcibilità del danno morale soggettivo, che deve essere inteso come “un turbamento dello stato d’animo della vittima” del fatto illecito, quindi come l’insieme delle sofferenze inflitte alla persona danneggiata dall’evento dannoso, il tutto indipendentemente dal fatto che la stessa condotta abbia rilevanza penale.”
The Marketer: “Non vi è responsabilità di Facebook?” M.M.: “Nel caso di specie è stato ritenuto, a mio avviso giustamente, che il social network è uno strumento di diffusione dell’espressione lesiva della reputazione ma non ricade su di esso alcuna responsabilità per la mediazione offerta.
La società Facebook, a tal proposito, rende noto i “termini e le condizioni di utilizzo” della piattaforma di social network, e pur reputandosi proprietaria dei contenuti pubblicati dagli utenti, declina ogni responsabilità civile e/o penale ad essi relativi. In definitiva, come spiega la sentenza del Tribunale di Monza, gli utenti che decidono di aderire a “Facebook” sono ben consci non solo delle grandi possibilità relazionali offerte dal servizio, ma anche delle potenziali esondazioni dei contenuti che vi inseriscono : rischio in una certa misura indubbiamente accettato e consapevolmente vissuto sotto il profilo dell’assunzione di responsabilità.”
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