Il ministro Maroni nelle scorse settimane ha chiamato a raccolta gli operatori della rete per discutere di incitazioni alla violenza mediate dalla rete. Ecco cos'è successo.
Come noto, lo scorso 22 dicembre si è svolto un incontro preliminare presso il Ministero dell'Interno sul tema ordine pubblico e social network. Dall'incontro è emersa una decisa tendenza verso l'autoregolamentazione con la proposta di redigere urgentemente un codice condiviso che consenta di porre fine all'apologia di reato e istigazione a delinquere online. In caso contrario il Governo è deciso a presentare un disegno di legge.A ll'incontro sono stati invitati i maggiori fornitori di accesso (di connettività, secondo la lezione dominante) su rete fissa e mobile (Telecom, Fastweb, BT, Wind, Vodafone, Tre), di servizi (Google, Facebook, Microsoft) e le principali associazioni di categoria (Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, Asstel e AIIP). Non sono stati invitati invece le organizzazioni facenti capo al sistema Confcommercio e Confapi. Nel corso dell'incontro il Ministro ha ripetuto, in sintesi che:
- la libertà di espressione del pensiero è inviolabile;
- solo l'autorità giudiziaria può decidere di limitare l'espressione del pensiero nel caso in cui costituisca un illecito;
- è quindi impensabile l'attribuzione all'autorità amministrativa di qualsiasi iniziativa diretta a sequestrare le manifestazioni del pensiero (come invece sembrava in qualche misura prefigurare il disegno di legge D'Alia);
- date le caratteristiche di Internet, una volta che l'autorità giudiziaria abbia identificato un contenuto come illecito, bisogna impedirne l'ulteriore diffusione. Di conseguenza in Consiglio dei Ministri è allo studio una proposta che:
- ribadisce che il compito di individuare illeciti, identificarne gli autori e "ingiungere la cessazione del reato" spetta all'autorità giudiziaria. Qualora l'autore del reato non provveda alla rimozione del contenuto, la proposta prevede una multa (a domanda, il Ministro ha precisato che tale multa non costituisce oblazione e quindi si aggiungerebbe alle sanzioni già oggi previste per il reato specifico);
- nel caso in cui l'autore dell'illecito non provveda direttamente alla rimozione del contenuto illecito, ci si rivolge ai fornitori di servizi (di hosting e caching). Nel caso in cui tali fornitori non ottemperassero alla disposizione dell'autorità giudiziaria, sarebbero sanzionati con una multa;
- solo nel caso dei reati più gravi (apologia di reato, istigazione a delinquere etc.) l'autorità giudiziaria potrebbe disporre l'interdizione dell'accesso al dominio Internet per 30 giorni.
Ciò premesso, il Ministro ha affermato che, in luogo di un intervento legislativo, preferirebbe un codice di autoregolamentazione dei fornitori di servizi e dei fornitori di connettività. Tale codice dovrebbe essere comunque predisposto in tempi brevissimi (prima bozza 15-20 gennaio), altrimenti il Consiglio dei Ministri porterebbe avanti il suo disegno di legge. La valutazione del codice e della sua applicabilità dovrebbe essere affidata ad un gruppo di lavoro composta da rappresentanti dei ministeri interessati (Sviluppo Economico, Interno, etc.) e dei fornitori di servizi e connettività. Nel corso dell'incontro, è stato anche sottolineato che "più che perseguire l'autore del reato, occorre porre fine alla circolazione dei contenuti che costituiscono reato": "non possiamo - si è detto - perseguire decine di migliaia di persone per reati online". Le organizzazioni di fornitori di servizi, dal canto loro, hanno:
- ribadito che per le caratteristiche intrinseche di Internet qualsiasi forma di filtraggio lato accesso, anche la più sofisticata, può essere facilmente aggirata da qualsiasi utente che abbia interesse ad aggirarla. Il successo delle misure concordate in sede di regolamento applicativo della legge Prestigiacomo discende unicamente dal fatto che gli utenti non desiderano aggirarle;- affermato che, a differenza del caso della pedopornografia, qualora venissero disposte misure di interdizione all'accesso di particolari domini queste sarebbero aggirate in massa, indipendentemente dalle tecnologie imposte. L'elevatissimo numero di soggetti interessati ad aggirare l'eventuale blocco di un social network non farebbe altro che accelerare la conoscenza delle modalità di aggiramento dei filtri. Lo dimostrerebbe il fatto che i filtri imposti da governi illiberali non impediscono la diffusione nel mondo di notizie sulla repressione messa in atto da tali governi.- di conseguenza l'unico modo per interrompere la diffusione di contenuti illeciti sarebbe quello di richiedere l'intervento dei fornitori di servizi di hosting etc. Cosa che, ovviamente, già avviene quando il fornitore di servizi risiede in Italia. Purtroppo, si stanno invece moltiplicando i casi in cui l'autorità giudiziaria, confondendo il sequestro con il filtraggio, si rivolge del tutto inappropriatamente ai fornitori di accesso.Sarebbe viceversa auspicabile che il legislatore ribadisse e l'autorità giudiziaria prendesse coscienza del fatto che il filtraggio dell'accesso non equivale ad un sequestro. Stante il carattere transnazionale delle reti di comunicazione elettronica, l'unica modalità con la quale l'autorità giudiziaria può fronteggiare la diffusione di reati online è la rogatoria internazionale. Stante il tempo reale dell'online, occorrerebbe definire per tali fattispecie un canale real time di comunicazione ufficiale tra le autorità giudiziarie dei Paesi coinvolti o comunque molto più veloce del consueto canale diplomatico. Tale canale potrebbe essere definito "Rogatoria Elettronica". Mantenendo fuori dagli accordi bilaterali i Paesi che non riconoscono la manifestazione del pensiero come diritto fondamentale, si potrebbe comunque garantire l'anonimato dei loro cittadini. Alcuni operatori nella sostanza hanno ribadito unanimemente che la repressione dei reati spetta all'autorità giudiziaria, e tutti, compresi i rappresentanti dei fornitori di servizi internazionali presenti (Facebook, Google, Microsoft) si sono espressi a favore dell'ipotesi di codice di autoregolamentazione. Il Ministro ha più volte ribadito che il tema principale è la rimozione dei contenuti. Di conseguenza il Codice di Autoregolamentazione deve sostanzialmente contenere l'impegno dei sottoscrittori a ricevere e dare seguito alle disposizioni dell'autorità giudiziaria italiana anche nel caso in cui non siano sottoposti alla sua giurisdizione. A tale impegno si dovrà probabilmente aggiungere un impegno di tutti i fornitori a informare i propri utenti dei loro diritti e doveri nell'ambito della manifestazione del pensiero. L'occasione potrebbe altresì essere propizia per sottolineare in premessa l'inutilità di qualsiasi forma filtraggio sull'accesso tramite liste di blocco o analisi dei contenuti.Il Ministro ha più volte ribadito che qualsiasi misura deve essere compatibile con le regole europee. Di conseguenza l'ipotesi che sia stabilito un obbligo di sorveglianza, dovrebbe essere esclusa dalla direttiva 2000/31 CE.
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