Che senso hanno gli obblighi di registrazione e identificazione che pesano su chi offre connettività presso locali pubblici? E' una questione di responsabilità individuale, che il Decreto Pisanu trascura.
Un fronte nutrito di oppositori, ma tante sfaccettature nell'interpretazione del problema: è quanto rischia di accadere in relazione alla proroga delle disposizioni relative al WiFi contenute nel c.d. Decreto Pisanu (n.d.r. si tratta in realtà della legge di conversione dell'originario decreto legge). All'indomani del lancio della Carta dei Cento per il libero Wifi e, per amor di verità, di altre analoghe iniziative con le quali si è inteso richiamare l'attenzione del Palazzo sull'esigenza di non prorogare ulteriormente - sarebbe la terza volta - tali disposizioni, si aperto in Rete un dibattito su una questione tecnico-giuridica complessa ma non certamente nuova. Il problema ridotto ai termini essenziali è il seguente: con il decreto Pisanu il Governo introdusse nel nostro ordinamento tre distinti obblighi per "chiunque intende aprire un pubblico esercizio o un circolo privato di qualsiasi specie, nel quale sono posti a disposizione del pubblico, dei clienti o dei soci apparecchi terminali utilizzabili per le comunicazioni anche telematiche" ovvero la richiesta di una speciale licenza al Questore, l'identificazione degli utenti attraverso un documento di identità e il logging degli utenti medesimi. L'obbligo di autorizzazione è disciplinato dal primo comma dell'art. 7 del Decreto Pisanu mentre quelli di identificazione e logging dal quarto comma del medesimo articolo 7. Nelle intenzioni dello stesso Ministro degli Interni Beppe Pisanu e, successivamente, in quelle del Parlamento in sede di conversione del Decreto Legge, tutti tali obblighi costituivano una misura antiterrorismo urgente ma destinata a restare in vigore a tempo determinato ovvero sino al 31 dicembre 2007. Si tratta di circostanza che emerge chiaramente nella relazione di accompagnamento al Disegno della legge di conversione secondo la quale "l'articolo 7 tende ad assicurare uno stretto controllo finalizzato alle attuali stringenti esigenze di sicurezza dei pubblici esercizi e degli altri luoghi pubblici o aperti al pubblico nei quali sono offerti servizi di comunicazione anche telematica, senza voler incidere sulla sostanziale libertà anche d'impresa, garantita dal codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, prevedendo, per un periodo circoscritto fino al 31 dicembre 2007, la necessità di una specifica autorizzazione di polizia e l'adozione di specifiche misure di identificazione degli utenti". L'articolo 7, tuttavia, è poi stato scritto in modo infelice tanto da indurre legittimamente l'interprete a ritenere che la scadenza del 31 dicembre 2007 debba riferirsi alla sola disposizione di cui al primo comma: obbligo di licenza.In sede di conversione al decreto legge, nelle diverse Commissioni Parlamentari attraverso le quali il testo transitò, ci si avvide di tale circostanza e la si segnalò. Ma nella fretta e nella frenesia di quei giorni nonché, probabilmente, anche in ragione della circostanza che la questione Internet veniva vissuta come secondaria rispetto alle molte altre affrontate dal Decreto Pisanu, nessuno intervenne, consegnando, dunque, alla storia il testo attualmente in vigore.La realtà credo sia, dunque, questa: rischia di essere un errore pensare che per il comma 1 dell'art. 7 sia prevista una scadenza e per il comma 4 no. Non sembrerebbe avere molto senso prevedere due scadenze diverse per due disposizioni che appaiono scritte per agire in maniera complementare: che senso avrebbe esigere da soggetti non autorizzati né identificati - almeno per finalità di pubblica sicurezza - di identificare, con finalità di pubblica sicurezza, i propri avventori? È comunque innegabile che i dubbi sollevati negli ultimi giorni attraverso l'esegesi dell'art. 7 siano legittimi e che esiste un rischio che, in fase di applicazione della norma, anche a seguito dell'auspicata mancata proroga del termine di cui al comma 1, qualcuno possa, attraverso un'interpretazione letterale del testo, concludere che il gestore di un circolo ricreativo pur non essendo obbligato a chiedere un'autorizzazione al questore debba continuare a identificare i suoi avventori attraverso un documento di identità.Ritengo, tuttavia, ci si dovrebbe trovare tutti d'accordo nel ritenere che tutti e tre gli obblighi introdotti dal Decreto Pisanu - licenza del questore, identificazione a mezzo documento di identità e logging - siano inopportuni ed anacronistici e che, soprattutto, si siano rivelati, alla prova dei fatti, assai meno utili di quanto, probabilmente, ci si attendesse. A questo punto - quale che sarà l'interpretazione che un giudice o un funzionario di polizia domani daranno all'art. 7 in relazione alla sua efficacia oltre la data indicata al comma primo - allo stato credo non si possa far nulla di più e di meglio che sforzarsi di richiamare l'attenzione del Palazzo sull'esigenza di non prorogare il termine di cui all'art. 7. Qualora la scadenza venga prorogata di nuovo infatti vi sarà la certezza di dover continuare a chiedere anacronistiche licenze ed ad identificare gli utenti mentre, in caso contrario, la partita sarebbe aperta: non sarebbe più necessaria alcuna licenza e con un piccolo sforzo interpretativo potrebbe intendersi anche venuta meno l'efficacia dell'obbligo di identificazione.Da un punto di vista teorico, convengo con quanti ritengono che l'eventuale rinuncia alla proroga del c.d. decreto Pisanu non sarebbe risolutiva ma da un punto di vista concreto, si tratta del miglior risultato a portata di mano e rinunciarvi sarebbe, davvero, una sconfitta.Ma c'è di più. Riconosco a Roberto Cassinelli, ad Antonio Palmieri, a Anna Paola Concia ed agli altri parlamentari firmatari del disegno di legge il merito di aver gettato le basi per sensibilizzare il Palazzo riguardo alla necessità della diffusione delle risorse di connettività WiFi nel Paese, ma occorre tuttavia riconoscere, allo stesso tempo, che si sbaglierebbe se si guardasse al DDL Cassinelli e altri come ad una soluzione definitiva.Sebbene enormemente più illuminato, il DDL rischia di assumere i contorni di un Pisanu Bis. Una disposizione cioè che si preoccupa di regolamentare l'accesso alla connettività messa a disposizione da locali pubblici e circoli ricreativi, mentre è possibile sfruttare la connettività e attribuire la responsabilità della propria condotta telematica a un qualsiasi privato che lasci aperta la propria rete WiFi.Il vero problema da affrontare e risolvere è quello più generale dell'imputabilità ad un determinato soggetto di talune condotte telematiche di particolare rilievo giuridico. Si tratta d'altro canto, di una raccomandazione emersa nelle ultime ore in seno al Consiglio d'Europa che ha sottolineato l'esigenza di risolvere il problema della natura anonima dei servizi di telecomunicazione prepagati. La questione è quella dell'anonimato protetto: ciascuno è libero di connettersi ed agire in Rete in forma anonima ma dopo aver lasciato tutti i suoi dati alle porte del web in modo che, dinanzi ad una grave violazione di legge ricompresa in un elenco tassativo da predisporsi, l'autorità giudiziaria e quella di polizia possano identificarlo e invitarlo a difendersi e/o chiamarlo a rispondere delle proprie responsabilità. Mi rendo conto che si tratta di una soluzione che apparentemente delude il livello di libertà che ciascuno di noi si attende nell'utilizzo di Internet, ma temo si tratti di compiere uno sforzo di realismo ed accettare l'idea che la Rete è divenuta troppo importante nel mondo degli affari, della politica e dei rapporti interpersonali e che, per questo, prima o poi, qualcuno proporrà di nuovo registrazioni e schedature di massa sul modello di quanto accaduto nel caso Pisanu. Prima che simili disposizioni vengano dettate da chi ha meno a cuore la tutela della privacy ed il rispetto della libertà di informazione, sarebbe opportuno elaborare una soluzione matura, equilibrata e responsabile.Decreto Pisanu, punto e a capo, dunque. Releghiamolo alla storia e guardiamo al futuro, utilizzando il DDL Cassinelli, Palmieri, Concia e altri come una buona occasione per dimostrare che in Rete - così come fuori - libertà fa rima con responsabilità. E che quando chiediamo, a gran voce, maggiore rispetto per i diritti digitali fondamentali, lo facciamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità in ogni ipotesi di abuso.
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