Social network ed email vietati ai minori di 16 anni. Cittadini europei, ma non cittadini digitali: questo il rischio che corrono i minori di 16 anni.
Il limite d’età per entrare di diritto nella nuova era digitale è
stato fissato in 16 anni e, senza il consenso preventivo dei genitori o
di chi ne esercita la patria potestà, gli under 16 non potranno usare Instagram, Snapchat, Gmail, Facebook e altri Social Network, per loro solo un ritorno al “medioevo” analogico?
Ma il nuovo Regolamento non doveva anche essere una leva di sviluppo e
competitività? Ma per chi? Forse per i produttori di carta e penne,
buste da lettere e francobolli? Di sicuro il nuovo Regolamento mira a tutelare e proteggere gli under
16 dalle minacce e insidie della rete, preoccupazione concreta e
iniziativa di sicuro molto lodevole, ma chi protegge i genitori?
Scherzi a parte, la questione è decisamente delicata, da una parte i
cosiddetti nativi digitali e dall’altra la generazione che ha
contribuito a questo nuovo mondo digitale: i primi che potrebbero
insegnare loro l’uso della tecnologia e i secondi che potrebbero, con la
loro esperienza e maturità, renderli più consapevoli e
responsabilizzarli. Ma come sempre, anche questa è l’ennesima dimostrazione della
lontananza dei legislatori dal mondo reale, se pensavamo che fosse solo
un problema del nostro Paese, ora scopriamo che siamo ben accompagnati.
Un’indagine di qualche anno fa, quindi neppur molto recente, stimava che
in Europa poco più di un terzo dei giovani, tra i 9 e 12 anni, usava
già regolarmente Social Network e dispositivi mobili connessi alla rete.
Oggi questa percentuale sarà sicuramente ben maggiore.
Attualmente in Europa tale limite di età è diverso tra i vari Stati dell’Unione, ad esempio in Spagna 14 anni mentre Olanda, Belgio e Ungheria 16 anni e in Polonia addirittura 18 anni.
Perché allora questo limite? Semplice: 16 anni è il risultato di una
media e molto probabilmente tale limite non ha neanche accontentato la
maggior parte dei Paesi UE. E quindi? Compromesso per compromesso: ogni
Stato membro avrà anche la facoltà di stabilire in autonomia tale limite di età. E questa è una delle molteplici zone d’ombra del nuovo Regolamento.
E’ proprio del giorno successivo all’approvazione del 18 dicembre
dello scorso anno del testo definitivo del GDPR da parte del cosiddetto
Trilogo, un comunicato stampa del Governo Britannico, che informa i
propri partner UE, che il limite d’età per accedere ai servizi online in UK sarà fissato a 13 anni. E probabilmente non sarà l’unico.
Ma il Regolamento non mirava ad una armonizzazione normativa in materia di Privacy proprio per l’intera Unione Europea?
Questo è l’ennesimo risultato delle differenti posizioni degli Stati
membri, una delle cause peraltro del rallentamento dell’iter di
approvazione del nuovo pacchetto di riforma in materia di protezione dei
dati.
Ma non era stato anche previsto un forte risparmio in termini di oneri di conformità per le imprese?
Il nuovo quadro giuridico UE non prevede in maniera specifica come
tale autorizzazione debba essere messa in pratica, e sposta tale onere
alle società di servizi online, le quali quindi non solo
dovranno farsi carico di tale gestione, ma dovranno anche individuare le
relative modalità e metterle in atto, anche in maniera diversa a
seconda del limite d’età di quel Paese piuttosto che di quell’altro. Ne
saranno coinvolte anche le PMI e non solo le multinazionali: quante
piccole medie imprese erogano servizi e/o vendono prodotti online per gli under 16?
E magari i loro mercati sono proprio quello ungherese, polacco e
britannico, attualmente i limiti di età sono rispettivamente 16, 18 e 13
anni. Altra zona d’ombra del nuovo Regolamento.
D’altronde il legislatore non poteva essere così “presuntuoso” nel
definire quali adeguate misure potrebbero essere utilizzate per la
validazione del consenso genitoriale, considerando anche la continua
evoluzione del contesto tecnologico, ma limitarsi a “Il titolare del
trattamento si adopera in ogni modo ragionevole per verificare in tali
casi che il consenso sia prestato o autorizzato dal titolare della
responsabilità genitoriale sul minore, in considerazione delle
tecnologie disponibili” sembra davvero poca cosa.
Potrebbe allora essere utile per trovare ispirazione volgere il proprio sguardo oltre oceano, verso gli USA. A fine 2015 viene approvato un nuovo metodo per la raccolta del consenso dei genitori per l’accesso ai servizi online dei propri figli minorenni: un sistema di matching tra una foto personale identificativa (es. patente o id card), verificata prima tramite pratiche tecnologiche forensi, e un selfie (scattato tramite smartphone ad esempio). Le due foto, al fine della verifica, sono analizzate tramite tecniche di riconoscimento facciale
biometrico e al termine del processo di validazione, che dura poco più
di qualche minuto, i dati acquisiti vengono eliminati definitivamente
con tecniche di cancellazione sicura.
Vero è che “I minori meritano una specifica protezione
relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno
consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia
interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei
dati personali”, ma dall’altra parte non si comprende come diversi
limiti di età da Stato a Stato membro dell’Unione possa ulteriormente
tutelarli. Semmai oltre a creare disuguaglianze tra cittadini under 16 di serie A e B potrà contribuire all’insorgere di problematiche di altro genere.
I probabili differenti limiti di età potranno, infatti, rappresentare
già di per sé un problema. Ma i rischi di un mancato allineamento di
tale limite verso il basso, per assurdo, potrebbe comportarne altri.
Potenzialmente il numero di coloro che potrebbero essere privati
dell’uso delle nuove tecnologie e di nuove opportunità di interazione e
apprendimento è molto elevato. Questo, inoltre, potrebbe anche portare
gli under 16 a mentire sulla propria età in fase di registrazione con i
rischi di poter accedere a contenuti per i più grandi e quindi non per
loro appropriati. O peggio ancora, migrare all’insaputa degli stessi
genitori verso fornitori di servizi on-line, magari meno restrittivi e
meno controllati, ma che potrebbero per la natura dei contenuti e degli
stessi utenti essere anche più pericolosi. E ancora, quindi, un’altra
zona d’ombra.
Per ora di certo c’è un testo di Regolamento che “vieta” l’accesso ai servizi online agli under
16 e purtroppo coloro che hanno auspicato un ultimo “ritocco” al
Regolamento prima della sua approvazione definitiva, con l’eliminazione
di tale “delega” ai singoli Stati dell’Unione nel poter fissare un
proprio limite di età, sono rimasti sicuramente delusi.
E altra certezza: gli under 16 potrebbero non essere Cittadini di Internet, bensì scudieri all’interno di un feudo medioevale.
All’indomani dello storico accordo di metà dicembre sul testo
definitivo del GDPR, Trevor Hughes, CEO di International Association of
Privacy Professionals (IAPP) dichiara “Sembra che il cielo ci stia cadendo addosso, ma abbiamo tempo”, ma nel dubbio forse è il caso di iniziare a spostarci.
Fonte: Techeconomy - Autore: Francesco Traficante
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