Pagine

Visualizzazioni totali

Google Scholar

mercoledì 11 maggio 2011

Ma Twitter non è un bar


Grazie a strumenti come Facebook e Twitter è diventato straordinariamente facile condividere pensieri, preferenze, fotografie, video, indirizzi web. Basta scrivere pochi caratteri nell'apposito spazio, o anche solo cliccare “Mi piace”, e nel giro di pochi secondi centinaia di milioni di persone in tutto il mondo potranno teoricamente venire a conoscenza delle nostre esternazioni. Nella pratica saranno molte di meno, in media qualche decina, le persone che dedicheranno secondi preziosi a seguirci. Siamo infatti tutti travolti da stimoli di ogni tipo e quindi inevitabilmente tendiamo a concentrare la nostra distratta attenzione solo sulle persone a noi più vicine, o su quelle che reputiamo particolarmente interessanti, tralasciando tutto il resto. ppure non tutto si riduce a lampi di attenzione seguiti da un rapido oblio. Innanzittutto l'oblio è solo relativo: riguarda semmai gli umani che leggono, non certo le macchine. Ogni click che facciamo su un sito come Facebook, infatti, viene automaticamente registrato. Alcuni dati – come la frequenza con cui andiamo a controllare la pagina di una determinata persona – resteranno accessibili (si spera) solo ai gestori della rete sociale. In proposito, viene in mente Zuckerberg che ossessivamente ricarica la pagina della ex-fidanzata alla fine del film “The Social Network”. Ma altri dati, ovvero, tutte le esternazioni da noi pubblicate nel tempo, a meno che non siano state da noi esplicitamente cancellate, rimarranno nella memoria di Facebook e di Twitter per mesi, per anni, potenzialmente per sempre. Accessibili non solo ai gestori della rete sociale e a noi stessi, ma anche a tutti i nostri contatti, se non alle centinaia di milioni di utenti di Facebook o Twitter, a seconda di come abbiamo impostato le opzioni di privacy. Questa combinazione tra permanenza e capacità di raggiungere praticamente chiunque è senza precedenti nella storia dell'umanità. E' come se ogni giorno intigessimo una penna in inchiostro indelebile per scrivere un diario potenzialmente consultabile da chiunque al mondo - per sempre. Quanti tra coloro che utilizzano una rete sociale l'hanno davvero capito? La generazione precedente di comunicatori online, quella dei blogger, era più consapevole della pubblicità e della permanenza delle loro esternazioni. Forse anche perchè i blog sono siti web veri e propri, non pianeti a se' stanti, con regole proprie, come Facebook. Ma proprio il massimo pregio di Facebook e Twitter - ovvero, la facilità d'uso, che ha enormemente espanso la platea dei comunicatori online - è anche il motivo per cui milioni di persone non hanno ancora capito le cruciali differenze tra una chiacchiera al bar e un “tweet”.Le conseguenze di questa ignoranza possono essere spiacevoli. Molti hanno già fatto presente ai giovani e ai giovanissimi che un giorno certe loro esternazioni online potrebbero impedire l'accesso, per esempio, al lavoro dei loro sogni. I dati più recenti però sono confortanti: indicano, infatti, che i giovani stanno recependo il messaggio, ovvero, usano, con sempre maggiore consapevolezza le opzioni di privacy, ovvero, quelle opzioni di Facebook che determinano chi vede che cosa del flusso informativo di ciascuno. Ma quanti, invece, non hanno ancora capito che cosa significa diffamare e quanto sia facile farlo disponendo di strumenti che rendono così facile esternare? Sempre “The Social Network” inizia con Zuckerberg che, arrabbiato per essere stato lasciato dalla fidanzata, apre un sito che mette alla berlina le studentesse di Harvard. Passerà, giustamente, dei guai. Ma sono molti anni che casi simili si ripetono, a volte usando la rete, a volte trasmettendo in maniera virale a tutti i propri contatti telefonici foto compromettenti di conoscenti o ex-fidanzate. Sono comportamenti che purtroppo ci sono sempre stati, ma la tecnologia da' loro una forza distruttiva inedita. La risposta primaria a tali comportamenti non può che essere: educazione. Milioni di persone abituate alla bicicletta, infatti, pensano di star sempre pedalando, ma stanno in realtà sfrecciando a bordo di bolidi di Formula 1. La scuola, le famiglie, i media, le istituzioni devono informare e formare, illustrando sia le grandi opportunità dei nuovi mezzi, sia i limiti e i pericoli. Con la tranquilla consapevolezza che le prime sono molto superiori ai secondi.

Fonte: La Stampa - Autore: Juan Carlos De Martin

Nessun commento:

Posta un commento