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martedì 21 settembre 2010

Se Facebook trasforma la festa in un incubo



Ragazzina inglese mette l'invito sul web: in migliaia si preparano ad arrivare

Rebecca Javeleau, quattordicenne dell’Hertfordshire, ci si è ritrovata in mezzo con l’ingenuità di chi non ha capito ancora bene come si maneggia la rete, rimanendo incastrata in un meccanismo da valanga che come un improvviso blog dell’era virtuale ha rischiato di travolgere lei, la sua giovane vita, quella della sua famiglia e dell’intero pacifico paesino di Harpendem, minacciando prima di gonfiarsi come un soufflé da fumetto e poi di spalmarsi tra i vicoli e per le strade sotto forma di oltre ventun mila scriteriati, goliardici, inaffidabili, velenosi utenti di Facebook richiamati dal suono da pifferaio magico del web e decisi a partecipare alla festa di compleanno organizzata dalla ragazza per il 7 di ottobre. Il tam tam degli hooligans del terzo millennio, incapaci di avere un qualunque rapporto umano tra loro ma perennemente connessi, si è diffuso come un’epidemia. E’ bastato premere un tasto sbagliato per scatenare l’inferno. Com’è successo? La teenager, sottile, pallida, grandi occhi pieni di malinconia, studentessa modello della Sir John Lawes School, abituata a scambiarsi segreti minori sul socialnetwork, decide la settimana scorsa di invitare quindici amici. «Divento grande, vi aspetto».E’ felice, si sente al sicuro nel suo universo fatto di casa, scuola e tea-party di periferia. Il mondo le vuole bene. Lo scrive sul muro trasparente del computer e per essere certa di avere abbastanza sedie per tutti aggiunge il numero di telefono del cellulare e un comando da manicomio: «rsvp», rispondete per piacere. Pensa di parlare a una ristretta enclave di cortesi conoscenti, si ritrova a fare i conti con una valanga di bufali impazziti. Arrivano adesioni da ogni angolo del Paese, in una specie di catena di Sant’Antonio del ribellismo distruttivo da minorenne. Il gioco diventa una mania minacciosa che contagia la rete. «Certo che veniamo». Un click dopo l’altro, come un mare agitato da un uragano. «Ho pensato di vomitare sul tuo tappeto». «Porto la banda, al massimo saremo in trenta». «I tuoi sono fuori casa, vero tesoro?».La ragazzina si allarma, piange, l’angoscia l’assale. La mamma trova la soluzione, un post it per annullare gli inviti: «Scusate, il party non c’è più». Semplice e geniale. Almeno così le sembra. Pia illusione. I bufali non si placano. Anzi rilanciano, chi se la vuole perdere l’occasione di questo marasma senza precedenti? «Rebecca ci ha invitato e noi veniamo, non vorrai mica rovinare il compleanno alla tua bambina?». La madre replica: «Non ci provate». Quelli la riempiono di insulti e di contumelie. «Festeggiamo il pre-party, il post-party e anche i postumi della sbornia. Stiamo contando i giorni. Ce lo impedisci tu?». Ventun mila. E se arrivano davvero? Rebecca è disperata, sua madre furiosa, interviene la polizia, mentre sul web si scatena l’ennesimo complicato dibattito sulla privacy e sui limiti di questo oceano senza regole e confini, senza paracadute per i più giovani. «Davvero vi piace un pianeta in cui chiunque può infilarsi nel letto, negli affetti, nelle debolezze degli altri con un semplice click?», scrive Ian Johnson, professore di liceo. «Moltissimo», gli rispondono in ottocento.
In febbraio un meccanismo analogo aveva spinto dozzine di adulti a sfondare la porta di una villetta nel Merseyside dove un sedicenne festeggiava la sua prima fidanzata. Un pomeriggio di botte e bottiglie rotte e cinquantamila sterline di danni. La polizia di Harpendem non ci sta. Il sergente Lewis Ducket convoca la stampa e le televisioni. Si presenta in divisa, con manganello e manette, perché deve essere chiaro che non sta scherzando. «Voglia avvisare le persone che pensano di venire in città a fare baldoria di cambiare piano. Non glielo consentiremo. Le strade saranno piene di pattuglie pronte a intervenire, faremo fronte a qualsiasi intemperanza». La polizia contro gli imprendibili seguaci del Grande Fratello globale. Il sito di Rebecca riscopre un improvviso silenzio, lei incrocia le dita in attesa del più assurdo compleanno della sua giovane vita e sua madre, Tracey Livesey, assistente sociale che si occupa di adulti con difficoltà di apprendimento, le stacca la spina del pc. «Le servirà da lezione. Ma non è giusto trasformare la festa di compleanno di una ragazzina in una sommossa popolare. Facebook dovrebbe intervenire». Ha gli occhi lucidi. Un portavoce del socialnetwork risponde in tempo reale. «Specifichiamo con chiarezza che la formula "rsvp" significa che l’evento è pubblico. Ed esistono meccanismi semplici per cancellare messaggi sbagliati. Ci dispiace per il problema, ma siamo come sempre disponibili a collaborare con la polizia 24 ore su 24». Perché per fermare il contagio degli incubi di una onirica vita da mouse non basta spegnere il computer. Servono agenti in carne e ossa. Molti.

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