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martedì 8 giugno 2010

Codice di autodisciplina a tutela della dignità della persona sulla rete internet: ma la carta di identità elettronica …


Il ministro dell’Interno Maroni ha presentato insieme al vice ministro Romani la bozza definitiva di auto regolamentazione della rete. La spinta è stata sicuramente data dalla preoccupazione espressa dall’Ue sull’uso che i social network stanno facendo delle informazioni personali degli utenti, soprattutto Facebook. Guido Scorza, presidente dell’Istituto per le politiche dell’innovazione, dichiara: “si tratta della prosecuzione dell’iniziativa già lanciata da Maroni, dopo i fatti di piazza del Duomo a Milano” e la comparsa in rete di siti a favore di Massimo Tartaglia. “L’idea del governo è quella di affiancare alla disciplina vigente una nuova regolamentazione capace di prevenire la commissione di illeciti a mezzo Internet e/o rimuoverne gli effetti”. Secondo Scorza “è un obiettivo ambizioso e forse utopistico, perchè sarà difficile, se non impossibile, indurre le grandi multinazionali della Rete a aderirvi e, in ogni caso, c’è da chiedersi quale sia il senso di dettare regole speciali per la "Rete italiana", mentre il resto d’Europa e del mondo prosegue sulla sua strada”. Nella riunione di presentazione della bozza, il 12 maggio scorso, erano presenti solo Google e Microsoft mancavano tutti gli altri big, persino Facebook. Continua Scorza “i documenti e l’iniziativa presentati sono lontani dal potersi dire giunti a un adeguato grado di maturità e continuano a evidenziare macroscopiche lacune e perplessità”, a partire dal fatto che due esponenti del governo “predispongono una bozza definitiva e la propongono agli operatori, auspicandone una rapida, un mese al massimo, adozione”. Il Codice mira a contrastare l’uso illegittimo delle risorse del web mediante l’adozione di procedure “su base volontaria”, per fare questo impone però ai provider la condizione di controllori/controllati, li obbliga alla rimozione immediata dei contenuti considerati discriminatori e/o offensivi della dignità umana, e alla comunicazione continua con le Autorità di Controllo individuando un referente che operi come punto di contatto con le istituzioni, le autorità giudiziarie e la polizia. Sicuramente il popolo della rete e non solo ha accolto male la notizia. Molti obiettano che, con uno stile decisamente italiano, il fine è chiaro ma lo stesso non si può dire delle modalità. Non è chiaro chi deciderà cosa costituisce un attacco alla dignità della persona o una minaccia per l’ordine pubblico, né chi garantirà e controllerà la liceità dei contenuti, decidendone la rimozione, tutto si baserà su segnalazioni e non sull’operato della magistratura e questo lascia intravedere lo spettro della censura, inoltre l’adesione volontaria, proprio perché strumento di autoregolamentazione, potrebbe diffondersi a macchia di leopardo e non essere quindi efficace. Di fatto una normativa specifica per la prevenzione di certi reati dovrà essere prima o dopo emanata, nel rispetto del diritto di libertà di espressione ma altrettanto nel rispetto della dignità dei soggetti che possono ritrovarsi in rete “perseguitati” da offese che dalla rete difficilmente potranno essere rimosse. L’argomento non è indifferente ma non può essere trattato solo a livello nazionale. Al momento gli operatori di settore non commentano ancora la proposta ma aspettano l’avvio di un tavolo di lavoro per discutere la proposta. A mio parere il problema continua a porsi perché manca l’unico strumento che potrebbe risolvere tanti problemi: una carta di identità elettronica che consenta di ricondurre – in caso di reato – al soggetto che lo ha commesso. Gran parte dei reati di diffamazione, offesa, violazione dei diritti commessi in rete restano coperti dall’anonimato. L’autodisciplina non serve a niente laddove non ci sia effettivamente una responsabilità chiara e non rimessa di volta in volta al singolo organo giudicante. Ci saranno le solite osservazioni: così si imbavaglia la rete. Ma forse sono le osservazioni mosse da chi ancora non si è ritrovato in rete con gravi offese indicizzate, informazioni inveritiere difficilmente rimovibili in modo definitivo, violazione della privacy … Appare così improponibile pensare di poter rendere rintracciabile – solo in casi specifici e magari previa autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria – chi compie reati contro la dignità delle persone? Eppure a me sembrerebbe la garanzia più naturale che uno Stato o comunque una società civile debba garantire agli internauti e non.


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