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mercoledì 24 febbraio 2010

Facebook, chiuso il gruppo contro i bambini down


La polizia postale: «Ci siamo riusciti perché hanno collaborato le autorità americane»

Oscurato. Il gruppo di Facebook «Giochiamo al tiro al bersaglio con i bambini Down», che domenica sera contava oltre 1.700 iscritti tra uomini e donne, non è più sulla rete. La polizia postale ne ha ottenuto la chiusura ieri mattina. Mentre le decine di siti di rivolta nati spontaneamente sul web continuano a raccogliere consensi. Ieri sera contava oltre 100mila adesioni l'appello lanciato per primo su Facebook a «chiudere» il gruppo anti-bambini Down. E quasi altrettanti avevano seguito il principale gruppo «contro». La «tempestività» della rimozione ha ottenuto il plauso unanime. Ma come è stato possibile raggiungere così in fretta un risultato altre volte rincorso invano?

COLLABORAZIONE DAGLI USA - «Su alcuni temi anche gli americani sono particolarmente sensibili», risponde il direttore della polizia postale, Antonio Apruzzese. «Solo il server, che è a Palo Alto, può decidere di rimuovere i gruppi. Noi li abbiamo allertati subito e contestualmente abbiamo avvertito l'autorità giudiziaria. Due procure, Catania e Pescara, stanno procedendo», aggiunge. L'ipotesi di reato potrebbe essere istigazione a delinquere. Ma per rintracciare i responsabili occorrerà sempre attendere elementi dalla California. Spiega Apruzzese: «Bisogna vedere quali tracce saranno riusciti a "congelarci" sul server. Il problema della rete è che è transnazionale. Quindi l'unica cosa che serve è la cooperazione tra Stati». La prova "congelata" attesa è la connessione del «vendicatore mascherato» come si definiva l'ideatore del gruppo.

I COMMENTI - Loda la polizia postale il ministro Mara Carfagna, subito intervenuta contro il gruppo «inaccettabile, non degno di persone civili, pericoloso». Chiede «pene esemplari» il ministro dell'Agricoltura, Luca Zaia. Si offre per rieducare i responsabili nella propria comunità l'associazione Papa Giovanni XXIII di don Benzi. Nel pdl c'è chi invita a non scambiarli «per l'utente tipo della rete». Chi, come Anna Maria Bernini suggerisce un «codice etico della rete». E chi come Giuseppe Esposito si dice pronto a sostenere una legge anti «imbecilli». Un genere che non è solo nel web. Sono fresche le polemiche per l'uso della parola «mongoloide» intesa come insulto tra gli inquilini del Grande Fratello e per la denuncia di un genitore di Treviso che in pizzeria si era sentito dire: «Se vostra figlia è così, tenetela a casa». Parlano di ennesima «provocazione di ignoranti» blog, siti web e diari digitali. Da un lato c'è chi invoca una condanna esemplare, magari creando leggi ad hoc per evitare l'impunità dell'anonimato online. Dall'altro chi invita a ignorare il fatto, perché «gli scemi sono sul web così come nella vita reale».

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