Riprendo un bell'articolo di Beppe Severgnini sul Corriere della Sera.Propongo un premio (in Italia se ne assegnano tanti!) per l’infermiera dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine che ha messo in rete le fotografie dei pazienti intubati. Nella motivazione: «Il premio Innocenza & Incoscienza 2009 viene assegnato alla signorina Y, per aver dimostrato come l’abbondanza dei mezzi, unita alla scarsità dei pensieri, provochi disastri». Le autorità sedute in prima fila, che di queste faccende non hanno mai capito niente, applaudiranno convinte.
D’accordo, scherzavo: niente premio. Ma propongo clemenza per chi ha commesso l’errore. La signorina Y (29 anni) poteva pubblicare le foto nell’album privato di Facebook, e non l’avrebbe saputo nessuno. Le ha messe nella parte pubblica, un lettore di Corriere.it (dall’estero) se n’è accorto ed è scoppiato il caso. Invece di punire, sarebbe bene capire. Perché l’ha fatto?
Terapia intensiva: un luogo duro, drammatico, adrenalinico. Chi ci lavora è eroico: la sensazione di operare sulla frontiera della medicina — e della vita — aiuta a superare la fatica, i sacrifici, lo spettacolo del dolore. Chi ha amici medici, e li ha sentiti parlare tra loro di lavoro (non fanno altro!), lo sa: non è cinismo, il loro, ma sopravvivenza psicologica.
La tv ha capito da tempo il potenziale narrativo del luogo. Grey’s Anatomy, Doctor House, Er Medici in prima linea. Forse la signorina Y ha pensato a quelle scene, quando ha scattato e pubblicato le sue fotografie. La misericordia — presente nel nome della ditta— ha lasciato il posto alla fantasia. A questa leggerezza s’è aggiunta la potenza dei mezzi. Due strumenti un tempo diversi e distanti — telefono e macchina fotografica — si sono sposati. Scattare una foto ieri era un’affermazione, oggi è una tentazione. Cellulari con fotocamere da 3 megapixel stanno nelle tasche di tutti quelli che vi circondano in questo momento: ognuno è in grado di riprendere e diffondere ciò che fate. Prima l’email, poi i blog, quindi il bluetooth e gli mms, infine i social networks: le immagini, facili da ottenere, sono semplici da far viaggiare.
Il mio primo pezzo sul rischio dei nuovi mezzi risale a una dozzina d’anni fa, proprio qui sul Corriere. Voglio essere sincero: pensavo andasse peggio. Abbiamo visto palpeggiamenti in classe, stupide violenze, esibizionismi pericolosi, ora questo scivolone sanitario: ma il potenziale per catastrofi in serie esisteva, ed esiste. Qual è la difesa? Norme chiare, certo. Controlli puntuali, ovvio. Ma soprattutto pensieri nuovi. Dobbiamo adeguare le nostre riflessioni — e l’educazione dei nostri figli, alunni, ragazzi — ai tempi mutati. Quanti di noi hanno parlato, in casa o a scuola, del danno che si può fare mettendo la foto sbagliata di una ragazza su Facebook? Quanti hanno capito che un ragazzo deluso e furioso, vent’anni fa, poteva calunniare la sua ex, e oggi può rovinarle la vita? Be’, se non ne abbiamo ancora parlato, facciamolo. E ringraziamo la signorina Y di Udine, che ne ha fornito l’occasione. Punirla? Ma no: ha capito. Proprio quello che tutti noi dobbiamo fare, adesso.
D’accordo, scherzavo: niente premio. Ma propongo clemenza per chi ha commesso l’errore. La signorina Y (29 anni) poteva pubblicare le foto nell’album privato di Facebook, e non l’avrebbe saputo nessuno. Le ha messe nella parte pubblica, un lettore di Corriere.it (dall’estero) se n’è accorto ed è scoppiato il caso. Invece di punire, sarebbe bene capire. Perché l’ha fatto?
Terapia intensiva: un luogo duro, drammatico, adrenalinico. Chi ci lavora è eroico: la sensazione di operare sulla frontiera della medicina — e della vita — aiuta a superare la fatica, i sacrifici, lo spettacolo del dolore. Chi ha amici medici, e li ha sentiti parlare tra loro di lavoro (non fanno altro!), lo sa: non è cinismo, il loro, ma sopravvivenza psicologica.
La tv ha capito da tempo il potenziale narrativo del luogo. Grey’s Anatomy, Doctor House, Er Medici in prima linea. Forse la signorina Y ha pensato a quelle scene, quando ha scattato e pubblicato le sue fotografie. La misericordia — presente nel nome della ditta— ha lasciato il posto alla fantasia. A questa leggerezza s’è aggiunta la potenza dei mezzi. Due strumenti un tempo diversi e distanti — telefono e macchina fotografica — si sono sposati. Scattare una foto ieri era un’affermazione, oggi è una tentazione. Cellulari con fotocamere da 3 megapixel stanno nelle tasche di tutti quelli che vi circondano in questo momento: ognuno è in grado di riprendere e diffondere ciò che fate. Prima l’email, poi i blog, quindi il bluetooth e gli mms, infine i social networks: le immagini, facili da ottenere, sono semplici da far viaggiare.
Il mio primo pezzo sul rischio dei nuovi mezzi risale a una dozzina d’anni fa, proprio qui sul Corriere. Voglio essere sincero: pensavo andasse peggio. Abbiamo visto palpeggiamenti in classe, stupide violenze, esibizionismi pericolosi, ora questo scivolone sanitario: ma il potenziale per catastrofi in serie esisteva, ed esiste. Qual è la difesa? Norme chiare, certo. Controlli puntuali, ovvio. Ma soprattutto pensieri nuovi. Dobbiamo adeguare le nostre riflessioni — e l’educazione dei nostri figli, alunni, ragazzi — ai tempi mutati. Quanti di noi hanno parlato, in casa o a scuola, del danno che si può fare mettendo la foto sbagliata di una ragazza su Facebook? Quanti hanno capito che un ragazzo deluso e furioso, vent’anni fa, poteva calunniare la sua ex, e oggi può rovinarle la vita? Be’, se non ne abbiamo ancora parlato, facciamolo. E ringraziamo la signorina Y di Udine, che ne ha fornito l’occasione. Punirla? Ma no: ha capito. Proprio quello che tutti noi dobbiamo fare, adesso.
Fonte: Il Corriere della Sera - Autore: Beppe Severgnini
Nessun commento:
Posta un commento